Il Telegrafo del 21 dicembre 1935
Ripresa dell'avanzata al comando di S.A.R. il Duca di Pistoia

Tigrai orientale, novembre
S.A.R. il Duca di Pistoia ha assunto il comando della Divisione CC.NN. tra l'entusiasmo, la gioia e l'orgoglio dei legionari, che hanno salutato con dimostrazioni di affetto il Principe Sabaudo e hanno gridato tutta la loro fede e dedizione alla Patria, alla Casa Sabauda e al Regime, rinnovando il giuramento e confermando la promessa di lottare con ardore e ardimento sino alla vittoria finale.
Al generale Ettore Bastico, che la "23 marzo" ha inquadrata, disciplinata, comandata per sette mesi e condotta alle prime conquiste, i mliti attraverso un saluto affettuoso e commovente, hanno riconfermato la loro stima, il loro amore e la loro riconoscenza. Il "papa' " della prima divisione nera e' partito commosso dalle spontanee manifestazioni di affetto di quelli che per mesi e mesi furono i suoi figli piu' cari, i suoi gregari, obbedienti e la materia prima da lui plasmata per fare di migliaia e migliaia di uomini di tutte le eta' e le condizioni un assieme compatto, omogeneo, pronto a tutte le prove e capace di tutte le conquiste.
Al generale Bastico, chiamato ad assolvere compiti piu importanti, i volontari senesi, memori di un passato recente contrassegnato da dure prove ma anche da ambite soddisfazioni, inviano il loro deferente ed amorevole saluto, promettendo che mai dimenticheranno il Gerarca che seppe fare di loro dei soldati perfetti e temprati, a tutte le azioni piu' rischiose, sia nel fisico che nel morale e che le condusse alle prime vittoriose azioni di guerra.
All'Altezza Reale, i figli di Siena promettono di dimostrarsi, sempre ed in ogni circostanza, degni della loro citta' e della fulgida tradizione di eroismo guerriero che e' gloria e vanto della Balzana.

Avanti arditi...
La sosta nel Ferras-Mai e' terminata. Tolte le tende, abbandonati i fortini, le ridotte e i campi trincerati, la Divisione ha ripresa l'avanzata.
Alla testa delle schiere delle fiamme nere marcia il Principe Sabaudo e i militi guardano con fierezza e con amore all'Augusto Capo e procedono innanzi con la fiducia dei forti e la piu' bella sicurezza di vittoria.
La nuova avanzata si e' iniziata alle prime ore del mattino. Lasciata la camionabile, le colonne hanno affrontato con ordine perfetto le scabrose mulattiere e gli impervi sentieri montani.
All'avanguardia, pattuglie e pattuglie avanzano in ordine sparso; ai lati i plotoni fiancheggiatori assicurano il collegamento con i reparti indigeni ed i battaglioni che avanzano sulla stessa linea di fronte; al centro il grosso della Divisione: Legioni, Comando e tutte le sezioni servizi.
Il primo sole del mattino saluta i militi con i suoi raggi dorati e da' la stura al coro delle canzoni. Dalle valli verdegginati, dalle gole profonde e cupe, dall'alto dei picchi illuminati dal sole nascente risuonano le maschie voci delle Camicie Nere: "Avanti ariditi..."
E gli arditi vanno avanti. Instancabili sotto il peso dello zaino carico, tra l'altro, di viveri e munizioni per piu' giorni, divorano la strada e incuranti delle asperita' del terreno conquistano nuove terre all'Italia e alla Civilita' Romana.
Le truppe non sentono la fatica. I corpi sono ormai temprati e forti, come forti lo sono gli animi e la volonta'. La serenita' e la spensieratezza dominano sempre ovunque. Il solo fatto che cagiona rammarico e acuisce l'impazienza di tutti e' quello di dover avanzare senza combattere. Gli abissini non si fanno vivi e, salvo qualche rara scaramuccia con esigui e pavidi gruppi di armati avversari, la Divisione procede senza colpo ferire.
Ma dov'e' questo esercito fantasma? Dove sono i selvaggi dancali e i terribili scioani? Dove tutte le centinaia di migliaia di armati del Negus? Questa domanda se la pongono tutti e nessuno sa trovare le risposte giuste. E le mitragliatrici sebrano balare di impazienza sul treppiede, i moschetti non vogliono star fermi sulle spalle e i pugnali pare debbano sguainarsi da se da un momento all'altro.
I capi cercano di calmare l'impazienza e ripetono la frase ormai d'uso: "Calma calma, verra' anche il momento della battaglia e verra' presto".
- E speriamo sia presto! - ribatte un fegataccio colligiano; e prosegue:
- Se si avanti di questo passo, pianto baracca e burattini e fo un salto ad Adddis Abeba, qualcuno ne trovo di certo!
- Ne trovi anche due, ne trovi - risponde un paesano: - ma un te lo consiglio io...trovereste anche una 'assa da morto.
- Figurati! Per una 'assa da morto! Un mi fa mia paura sai. Se avevo paura stavo a casa mia!...E scrollando le spalle per aggiustarsi lo zaino, il colligiano si tace meledicendo in cuor suo il Negus e tutti i suoi invisibili satelliti.
Le ore passano e la marcia non ha sosta. I portaordini percorrono in lungo e in largo le colonne recando comandi e disposizioni. Di tanto in tanto le fila si aprono per lasciare il passo ad una fila di muletti. E' il Comandante, il Principe Reale, che si porta in mezzo ai suoi uomini per assicurarsi della regolarita' con cui procede l'avanzata. E sempre il Duca di Pistoia ha una parola buona, una frase di incitamento od un gesto affettuoso per tutti.
Passa con il suo muletto e risponde col saluto romano all'impeccabile "attenti" delle Camicie Nere schierate come meglio possono ai margini dei sentieri.
Sempre serio, ma con gli occhi straordinariamente sorridenti, l'augusto Comandante sembra dirci la sua fiducia e tuta la fiducia della Casa Savoia per i soldati del Duce. E quando, al suo passare, questo o quel milite grida il saluto all'Uomo che regge ňe sorti della Patria lontana, il Principe e' sempre il primo a gridare l' "A noi!" che si confonde con quello di tutti i legionari.

"Pezzo Rino Daus"
A X... mentre traversiamo un assolato fondo valle, mi sento chiamare per nome. Mi fermo e giro lo sguardo intorno, un polverone fitto e altissimo mi impedisce per un momento di scorgere chi mi chiama; ma poi lo vedo sopra un roccione ai piedi di un'alta amba, sta un camerata di fuori Porta Camollia. Dai suoi gesti e dalla sua posizione capisco che e' di sentinella e non puo' muoversi per scendere a basso.
Esco dalle fila e in due salti sono dall'amico. Ci nascondiamo dietro un cespuglio (la sentinella non puo' parlare) ed incrociamo il fuoco di fila delle domande e delle risposte:
- Da quanto sei qui?
- Siamo arrivati un'ora fa, abbiamo piazzato i pezzi laggiu' - e il camerata, artigliere della 192.a Batteria CC.NN. mi indica la sommita' dell'amba, ove mascherati dal fogliamo, immagino piu' che vedere i cannoni dell'artiglieria fascista.
- Non venite avanti?
- Per ora no. Proteggiamo l'avanzata, la vostra avanzata, voi andate lassu'...lassu'... - E con l'indice mi indica la vetta di una montagna vicina - Vi raggiungeremo tra poco. Alto il morale e coraggio!
- Ce n'e' in abbondanza. Arrivederci a presto. Saluta tutti i senesi. Arrivederci...
- Oh!...da' retta...Se per caso fosse necessaria la nostra oepra, se tu sentisse fischiare i proiettili sopra la testa, ricorda che siamo noi che spariamo...
- Mi raccomando, procurate di non sbagliare!
- Sta tranquillo. Alza il capo...lo vedi?...li' tra quel cespuglio...lo vedi? E' il "pezzo Rino Daus", il pezzo nostro. Noi senesi vogliamo bene a quel cannone come alle nostre mamme e lo curiamo come una creatura. E' preciso, non sgarra un millimetro nel tiro...E se ci sara' bisogno, fara' onore al suo nome.
- Lo credo.
- Atendiamo con ansia il momento di entrare in azione. quando il pezzo sparera' ci parra' di udire la sua voce...Quella voce che ieri fece tremare i nemici della Patria...Insomma saremo contenti perche' pensiamo che anche lui...di lassu', sara' tanto contento...arrivederci, va' via se no perdi contatto.
Ci abbracciamo e ci salutiamo e ci lasciamo in attesa di ritrovarci ancora domani.
La colonna e' lontana; ho effettivamente perso contatto. Ma lo riprendero' subito. Allungo il passo e via sotto il sole cocente. Di tanto in tanto voglo la testa indietro e guardo in alto. Il "pezzo Rino Daus" e' la' che veglia e ci protegge. E forse l'ombra stessa del Martire e' vicina al "suo" cannone...

Notturno africano
A X...ci accampiamo, le tende sono piantate alla meglio e senza troppe ricercatezze, dato che all'alba riprenderemo la marcia.
La notte e' calata rapida e quanto mai oscura. Qua e la' un fuoco rompe le tenebre e rischiara una tenda, una ridotta improvvisata, un piccolo posto avanzato.
Gli accampamenti sono silenziosi. Il riposo dopo una giornata di fatica e' assaporato da tutti. Soltanto i mitraglieri vegliano. Agli avamposti, immobili accanto ai loro ordigni di morte, i militi delle centurie M.P. proteggono il sonno dei camerati e stanno all'erta per prevenire ogni eventuale sorpresa.
Io, in tenda, al fioco chiarore di una lanterna da campo, butto giu' queste brevi note. Di tanto in tanto un raggio di luce mi colpisce in pieno. Le stazioni foto elettriche sono entrate in azione ed i potenti riflettori spaziano l'orizzonte e vegliano sul sonno delle truppe con i loro enormi occhi lucenti, che sembrano gli occhi di tante mamme, che forse a quest'ora stanno spalancati nella visione dei figli lontani.
Il silenzio della notte e' rotto di tanto in tanto dalle iene che gridano ululati di gioia intorno a una carogna...io scrivo; i miei compagni di tenda dormono tutti. Uno sogna il suo ultimo figlio, nato il giorno del nostro imbarco per l'Africa. Di tanto in tanto un nome esce dalle sue labbra: Mario...Mario...
Il babbo pensa nel sogno al suo piccino. A quel bambino che a Poggibonsi dorme il sonno beato dell'infanzia, mentre il babbo stanco di una giornata di nobili e belle fatiche, riposa sulla dura terra il suo corpo e vola col pensiero a una culla che ancora non conosce.

Dino Corsi