Il Telegrafo del 8 novembre 1935
Coi legionari senesi attraverso il Tigrai

Tigrai,ottobre
Travolgente, irresistibile, la marcia continua. Adigrati, Entisciò, Daro Taclè, Adua, Axum sono le prime tappe, che le legioni e i battaglioni, ormai lanciati verso la meta segnata dal Duce e dal destino, hanno bruciato nella loro avanzata celere, possente ed ordinata ad un tempo. Tappe che sono pagine di storia, conquiste che mostrano l'entusiasmo e la fede dei militi e dei soldati dell'Italia nuova, uniti tutti sotto le insegne del Littorio e miranti, sia i primi che i secondi, al raggiungimento di un traguardo, simbolo di gloria, di conquista, di potenza e di romanità imperiale.
Qua, nel settore del Tigrai ove opera la "23 Marzo", gli sguardi di tutti sono volti in avanti: con ansie e con pari certezza di vittoria, si guarda a Macallè, alla piana già glorificata dal valore delle truppe italiane, a quella piana che vedrà domani brillare al sole, nel possente "A noi!" del saluto all'Uomo che guida i destini della Patria, i diecimila pugnali dei legionari di quella divisione che si è meriata e si merita il significativo aggettivo di "Implacabile".
Adua è stata lasciata a destra dalle schiere delle fiamme nere e la cittadina più pittoresca e ricca di tutto l'altipiano tigrino non è ormai che un ricordo nelle menti dei militi, che, tutti protesi nello slancio superbo indomabile, non hanno tempo di guardare indietro, ma mirano innanzi a loro, pronti a tutte le battaglie e a tutte le conquiste.
Macallè è là. E dall'alto di quella roccaforte, che un giorno i nostri avversari, cento contro uno, non seppero espugnare, sembra erigersi superba la sacra ombra di Galliano ad animare le forti schiere dei soldati di Roma, nell'attesa di vedere ancora sventolare il tricolore Italiano sul picco pietroso che vide e conobbe l'eroismo del più fulgido eroe delle nostre guerre coloniali.
Già ad Adua, l'eroico invitto difensore del forte di Macallè, rivisse, insieme ai suoi compagni di fede e di martirio, nel significativo e commovente rito dell'Appello Fascista; ma domani, quando le Camicie Nere della Divisione primogenita, irromperanno, tutto travolgendo, in quella piana che è una delle più possenti roccaforti nemiche, lo spirito stesso dell'Eroe sarà con noi e sembrerà che Egli stesso, insieme a tutti i morti di Adua e di Dogali, unisca il suo "Presente!" a quello che uscirà dai cuori commossi di diecimila militi.

Il Tigrai: Toscana Africana

Cento chilometri, pochi più, pochi meno, percorsi dal giorno in cui, guadato il Mareb, ponemmo piede - ospiti quanto mai indesiderati - in casa del Negus, ci hanno fatto conoscere ed ammirare le bellezze e le infinite ricchezze naturali del Tigrai. A circa duemila di altitudine, interrotto qua e là da ambe irte e pietrose, l'altipiano si estende per centinaia e centinaia di miglia, attraversato in lungo e in largo da corsi d'acqua e da torrenti che portano a valle masse di liquido prezioso e necessario sia agli uomini che alla terra.
Ovunque, e particolarmente nei pressi dei fiumi, la vegetazione cresce rigogliosa. Poche piante tropicali, ma in compenso immensi appezzamenti di terrreno coltivati a grano, granoturco, orzo, avena,ecc. Coltivazioni che danno due, ed in certe determinate zone, anche tre raccolti all'anno, senza che la terra sia mai stata solcata dal ferro dell'aratro e abbia conosciuto l'inestimabile aiuto del concime chimico. Uno strumento primitivo di legno che sta all'aratro come Addis Abeba sta a Roma, "sfruzzica" la terra per pochi centimetri ed il campo è pronto per la semina.
Le messi vengono su rigogliose in un tempo brevissimo, senza che gli indigeni debbano faticare o "rivoltare" la terra.
- Fusse a Montalcino una terra così - mi diceva giorni fa un camerata, forte agricoltore del montalcinese - in du' mesi doventerei più ricco del Forteguerri.
Ed il convincimento del bravo contadino è qui condiviso da tutti. Basta osservare gli orti improvvisati qua e là dalle truppe di passaggio, orti dove gli ortaggi crescono a vista d'occhio, per rendersi conto di quanto queste zone potrebbero dare dall'agricoltore se lavorate e trattate con sistemi razionali e moderni.
Un'altra ricchezza del Tigrai sono i pascoli. Dove gli indigeni (poco numerosi e, sia pur detto, poco dediti alla terra, forse perchè non ne conoscono le infinite risorse) non spandono le sementi, prosperano i pascoli e le mandrie numerose di vaccini, ovini ed equini, vivono in apparente libertà tra il folto delle alte erbe e delle piante selvatiche, che prosperano, oggi in tante zone semi abbandonate, terre che saranno domani redente dal lavoro dei nostri coloni, una immensa ricchezza della Patria lontana.
Nei pressi di Adua ed ovunque nella Regione del Tigrai orientale, sono numerose le piantagioni "alla toscana". Piselli, fave, zucche, cipolle, ed ogni varietà di ortaggi compresi la salvia ed il ramerino (particolarmente utili qui dove la selvaggina abbonda), si trovano quasi ad ogni passo, e non sto a dire quale gioia queste piantagioni sono salutate dalla truppa.
Una gioia derivante da due sentimenti opposti, materiale l'uno, quello che proviene dalla speranza di gustare un frutto fuori stagione...e fuori ordinanza, strettamente morale e nostalgico l'altro, quello cioè che deriva dalla sensazione che si subisce scorgendo quelle piante e quei frutti che hanno un certo non so che di toscano e di casalingo.
E, sembrerà un assurdo, ma è la verità, sia il fatto di vivere costantemente a contatto con compagni della nostra Regione, sia la nostalgia o sia, e forse è proprio questo, che queste terre hanno talvolta dagli aspetti che ci ricordano la nostra bella campagna, il fatto è che molto spesso avviene di dimenticarsi se la terra che calpestiamo da più giorni è realmente tanto e tanto lontana dalla terra toscana.
una di queste mattine, tutto preso dalla bellezza del panorama che mi si parava davanti, domandai al minore di quei tre fratelli senesi del Bruco, volontari della "23 Marzo", se non sembrava anche a lui di trovarsi in un certo punto della campagna toscana e magari di quella senese.
- Già - mi rispose il bravo ragazzo, ma senza una punta di nostalgia -a occio potrebbe anche essere, ma c'è un ma...
- Cosa c'è?
- C'è, che per sembrare proprio toscana davvero, ci manca Siena, il panpepato, il buristo e il "Bru'0". E di'o po'o!
Lì per lì fui convinto. Ma in seguito, di fronte al persistere dei segni di fertilità e considerando quanta grazia di Dio possono donarci queste terre si è radicata in me la certezza che, se non proprio toscano al cento per cento, l'altipiano del Tigrai è una di quelle Regioni che meritano l'onore di esser lavorate e sfruttate dai figli di Roma. E soltanto da essi.

Vita allegra, vita sana

Che la guerra richieda dei sacrifici è cosa risaputa da tempo. Che le guerre coloniali, ed in ispecie quella che si sta svolgendo attualmente, accentuino i sacrifici e richiedano un forte dispendio di energie è cosa risaputa pure questa. Ma è risaputo, almeno da chi vive in continuo assillo per il figlio, il padre, il fratello, lo sposo lontano, che ogni sacrificio, ogni privazione e tutte le fatiche possono essere facilmente superate e rese lievi quando non fa difetto l'allegria, quell'allegria sana che anima oggi i soldati italiani in A.O.
La mestizia, la malinconia, le lamentele e le faccie tristi sono bandite dagli accampamenti. E specialmente dagli accampamenti dove i senesi sono in buon numero. e tra quelli della Divisione CC.NN., i senesi non mancano in nessuno; quindi oguno ed in ognimomento l'allegria domina tra la Camicie nere, sovrana ed incontrastata.
Al termine di una marcia faticosa, dopo qualche mezza giornata di digiuno, di ritorno da un servizio di pattuglia conclusasi con qualche lieve scaramuccia, dopo varie ore di faticoso lavoro stradale (giacchè le Camicie nere, come del resto i soldati dell'Esercito, via via che avanzano, tracciano da loro le strade che aprono il transito agli autocarri e conseguentemente permettono il continuo e regolare rifornimento di viveri, munizioni e quant'altro è necessario), ogni qual volta insomma lo spirito è propenso alla malinconia, c'è sempre qualcuno nella massa che risveglia il buonumore e fa sparire ogni traccia di mestizia nei volti.
Basta un nonnulla, un motto di spirito, il racconto di qualche più o meno piccante barzelletta, lo "sfottò" a carico di questo o di quell'altro, e la malinconia lascia il posto alla più spontanea e più sana allegria.
Non posso nascondere che tra noi, tra i senesi voglio dire, c'è sempre chi fa le spese per tuti. "Sagome" non mancano in nessun reparto e "sagome" sono tutti i senesi.
Ma "sagome" così ben sagomate che sono un piacere a vedersi. Tipi...tipici di tutte le contrade e di tutti i paesi.
Quello di S. Gimignano, del quale ho parlato nelle ultime due corrispondenze, non ha ancoracessato di far le spese per le risa di tutti. Una di queste mattine, potrei dire notte giacchè erano solo le 4, mentre la truppa era già schierata per lasciare il campo, il nostro non più barbuto eroe (la barba l'ha lasciata...per misura precauzionale) apparve in testa alla colonna portando, legato ad una cordicella, un vispo e giovane somarello, in tutto simile a quello già caduto sotto i suoi colpi. Risata generale, motteggi e poi, a bruciapelo, l'insidiosa domanda:
"Che è fratello di quell'altro?". Subito seguita dalla risposta a bomba, some si dice a Siena:
- Già. Pro...proprio il fra...fra...tello. Ma questo l'ho fa...fatto prigioniero. E l'ho po...portato a te, per...perchè ti...ti...mancava lo specchio!
Un nuovo scopio di risa salutò la toccante battuta. E per quel giorno il figlio delle belle torri fu veramente l' "eroe".
Troppo lungo sarebbe elencare tutti i fattarelli ed i motti di spirito che rallegrano la nostra esistenza e ci aiutano a sopportare le fatiche ed affrontare i sacrifici, ma questa, tanto per finire, merita di essere raccontata.
Giorni fa la posta aerea portò ad un nostro compagno - un rude agricoltore della Val d'Elsa - la lieta notizia della nascita di un bambino. Complimenti da parte dei camerati e da parte dei superiori, strette di mano, abbracci, ed infine la decisione del neo genitore di comunicare il lieto evento al COmandante il reparto.
Con la lettera spiegata in mano, il "babbino" corre verso il Centurione che sopraggiunge. L'emozione lo vince, tanto che, dimentico delle regole di disciplina e di educazione, si pianta davanti al superiore e pone sotto i suoi occhi il foglio recante l'annuncio.
- Signor Capitano, m'è nato un ragazzo! E' nato dalla mi' moglie...insomma è nato in casa!
- Bravo! Rallegramenti!
- Io lo sapevo che doveva nasce...
- Me lo immagino!
- Era bell'a un punto quando andiedi in licenza...So' tanto contento, Sor Capitano, ma mi sa a mill'anni di vedello, il mi' fruicchio!
- Lo vedrete, lo vedrete se Dio ci assiste.
- Ma io, ecco Sor Capitano, vorrei una licenzina...
- Impossibile ragazzo mio, impossibile.
Ed il Centurione, un ottimo uomo e padre di famiglia anch'egli, spiega le ragioni che impediscono la concessione della licenza e tenta, con buone parole, di attenuare il giustificato desiderio del genitore novellino. Il quale, apparentemente convinto, ringrazia, saluta e si allontana in silenzio. Ma poi torna sui suoi passi e rivoltosi nuovamente all'ufficiale, dice con la massima naturalezza:
- Lei ha ragione, Sor Capitano, ma se proprio un si pole da' la licenza, mi dia un permessino di ventiquattr'ore. Fo' un salto a casa, abbraccio il marmocchio e torno subito.
Non sto a descrivere la risata che ne seguì, perchè proprio in questo momento la trombetta sta suonando l'adunata per il rancio; ed il corpo ha i suoi diritti, almeno quanto il giornale.


Dino Corsi