Il Telegrafo del 19 settembre 1936
Pattuglia notturna all'abbeverata dei leopardi

Torrente Allà (Amhara Orientale), settembre
Sopra a noi il cielo è sereno. Da ventiquattr'ore non piove e, mirando le stelle che brillano e scintillano ed il disco luminoso della luna piena, sembra che non debba piovere mai più. Il torrente, che nei giorni scorsi si era trasformato in un fiume impetuoso e tutto travolgente al di là dei suoi argini rotti e superati per diecine e diecine di metri, scorre placido nel suo letto e pare voglia, con il silenzio e l'umiltà, farsi perdonare la tracotante e rumorosa prepotenza delle notti passate.
Nell'accampamento, sulla sponda destra del fiume, regna il silenzio più completo. Gli uomini, dopo tante notti pressochè insonni e trascorse in continua e dura lotta con le acque dell'Allà che di ora in ora e di minuto in minuto sembrano volersi sfogare sulla fragilità delle tende, dormono tranquilli sognando, forse, un piroscafo, pulsante nello scafo e lietamente sbuffante dal più alto fumaiolo. E' questo ormai il sogno di tutti in tutte le notti. Sogno che non si ferma nella folda del piroscafo, ma che si irradia lontano lontano, attraverso il Mar Rosso, il Canale di Suez, il Mediterraneo ed il Tirreno per raggiungere la sponda del sacro suolo d'Italia e incunearsi nel cuore della Patria, fino alle città, ai paesi, alle borgate più lontane, ove da diciassette mesi, una moltotudine di madri, di spose e di figli attendono il ritorno dei legionari.
E mi trovo proprio tra la dolce illusione di una di questi sogni quando la voce di un camerata mi ridesta. La voce è sommessa, ma abbastanza violento è lo strattone che mi vien propinato per togliermi dalle bracci di Morfeo.
- Su! Sveglia! E' l'ora!
- L'ora! ...Di cosa? - Mezzo addormentato ancora, mi alzo ed esco dalla tenda. E ripeto la domanda: Cosa vuoi? Perchè mi hai svegliato?
- La pattuglia, non ricordi? E' già mezzanotte.
Ora ricordo. ieri sera un ufficiale del Reparto, presso il quale mi trovo da tre giorni a causa delle acque che impediscono il guado dell'Allà, mi ha invitato a seguirlo, stanotte, durante la consueta pattuglia notturna lungo la sponda del fiume, fino alla località conosciuta con il nome di "abbeverata dei leopardi", a ragione delle fiere che ivi, la notte, vanno di consueto a dissetarsi.
In pochi minuti son pronto, vestito e armato, raggiungo la pattuglia che si accinge ad uscire dal campo. Saluto l'ufficiale, che mi risponde con un ben augurante sorrisoed ammicca l'occhio, come per dire: la nottata è bella. Ci divertiremo...
Pochi passi e siamo fuori dal cerchio delle tende. traversiamo la camionabile che porta al tornante e ci interniamo subito nella folta boscaglia, che cresce rigogliosa ai lati del corso d'acqua tropicale. La notte, lo ripeto, è serena e la luna splende in tutta la sua magnificienza. Ma tra il groviglio degli alberi e delle liane incombe l'oscurità più nera. Le torce elettriche ci illuminano il cammino e, in dieci uomini quanti siamo, fatichiamo assai a procedere lungo uno stretto sentiero appena tracciato tra la massa della vegetazione.
Di tanto in tanto siamo costretti a sostare per liberarci il passo, qua e là ostacolato da cespugli di rovi o addirittura da tronchi d'albero, gettati sul sentiero dalla violenza degli uragani. La nostra marcia, accompagnata in un interminabile concerto animalesco - sono scimmie che gridano, fiere che ruggiscono, sciacalli che ridono, iene che guaitano ed euccellacci notturni di tutte le specie che gracidano e stridono - procede così per un paio d'ore fino a quando cioè, ci liberiamo dalla stretta dei sicomori, dalle euforbie, dalle spinose e dalle liane e giungiamo in un piano sabbioso che, partendo dal fiume, si estende e vince la forseta per un migliaio di metri quadrati. Siamo all' "abbeverata dei leopardi". E qui è il limite di vigilanza della pattuglia.
Spente le torce, chè la luce lunare ci rischiara in pieno, raggiungiamo la sponda e, in silenzio, ci incamminiamo tra l'ammasso di roccie lambite dalle acque. Davanti a noi è il fiume; al di là sull'altra sponda si estende pure il pianoro sabbioso, che, largo alla riva, va man mano restringendosi fino a divenire un sentierucolo di pochi decimetri, che si inoltra e si perde nella boscaglia.Ed è il piccolo sentiero, pista aperta tra il fogliame dagli animali, è quello da dove dovranno sbucare le fiere.

L'ora dell'abbeverata

Sempre silenziosi, immobili e studiandoci di non fare il minimo rumore, attendiamo. L'ora della "abbeverata" è vicina e l'attesa non dovrebbe essere lunga. Infatti non lo è. Pochi minuti sono passati dal nostro giungere al pianoro, che qualcosa si preannuncia al di là del torrente.
Preceduti da grugniti e dal rumore di rami spezzati, quattro grossi bestioni neri irrompono nella foresta nel tratta sabbioso. Sono (cosa sono precisamente non saprei dirlo, giacchè nessuno ha saputo darmi il loro nome) o meglio, sembrano cinghiali. Ma più grossi, molto più grossi, di quelli non rari nei nostri boschi, dal pelame lungo ed irsuto ed armati di due formidabili zanne, lunghe circa quindici centimetri, che ricordano un pò quelle dell'elefante.
Senza neppur guardarsi intorno le due coppie di bestioni, scendono il greto del fiume e si precipitano in acqua. Per un buon quarto d'ora assistiamo al bagno animale, caratterizzato da lunghi grugniti e tuffi prodigiosi, e poi vediamo le bestie , dissetate e rinfrescate, uscire dall'acqua e, grugnendo, rientrare al galoppo nel folto della vegetazione.
Non facciamo neppure in tempo a scambiarci le nostre impressioni su quanto abbiamo veduto, che un ruggito, seguito subito da altri, risuona vicino a noi.
- Eccoli, i leopardi... - Sommessa, la voce corre di bocca in bocca: vengono i leopardi, vengono...
Aguzziamo gli sguardi e ci irrigidiamo ancor più, se è possibile, nella nostra immobilità. Un lento frusciare tra il fogliame, ruggiti sempre più distinti e le fiere ci sono davanti.
Son cinque: due adulti e tre piccoline. I genitori ed i figli, suppongo. Il maschio è all'avanguardia della selvaggia e feroce famiglia. Corre strisciando sul terreno e sbattendo di tanto in tanto la sabbia con la coda, il leopardo avanza guardandosi intorno e fiutando l'aria, quasi se sospettasse una qualche insidia. Dietro al maschio vengono i tre cuccioli, vispi e saltellanti come gatini, e la femmina, poco più piccola del compagno, ma meno rapida nei movimenti.
I leopardi sono all'abbeverata. Li vediamo ora vicinissimi e pensiamo ben scorgere i loro magnifici mantelli giallomarrone, particolarmente lucidi, così come sono illuminati dalla luna. I piccoli, lo capiamo dalle loro mosse, vorrebbero attandarsi nel'acqua, ove, allegri e spensierati, sguazzano e saltellano come cagnolini, ma i genitori sono di diverso parere. Due o tre zampate del maschio, date a mo' di scappellotti, ed un materno ruggito della femmina fanno sì, che in un attimo, la famiglia sia riunita e si incammini sulla via del ritorno.

La fuga delle scimmie

Sono appena scomparsi i leopardi, che un grido stridulo, acuto come un segnale, risuona nella selva. E come richiamata dal grido, un'intera tribù di scimmie piomba dall'alto degli alberi ed invade il pianoro. Sono una ventina e più di scimmiotti, dal pelame color cioccolata, alti dai venti ai cinquanta centimetri e straordinariamente umani nelle movenze e nei gesti. Saltellando, gesticolando ed esibendosi nelle più inverosimili capriole, gli scimmiotti, in gruppetti di tre o quattro, scendono all'acqua e si dissetano. Facendo miracoli di equilibrio, si destreggiano sulle roccie taglienti, raccolgono il liquido nel cavo delle mani e se la portano alla bocca. Così, proprio così, come fanno gli uomini.
I più piccoli, allungano le vellose braccia e tentano di imitare gli adulti. ma per essi l'impresa è difficile, dato che giungono appena a sfiorare le acque del torrente. Sono allora i vecchi, certamente i genitori, che, sempre nel cavo delle mani, offrono il liquido alla impaziente ed assetata prole. Le scimmie si attardano al margine del torrente. Certo non hanno fretta di ritornare; e si comprende che attendono l'alba, per andarsene in cerca di bacche selvatiche e fichi d'india.
Ma, ancora una volta, torna a risuonare il grido di segnale, lanciato, ora lo comprendiamo, da uno scimmiotto, issatosi su uno dei più alti alberi con funzioni di osservatore. Il segnale lanciato dalla quadrumane scolta è di pericolo e di allarme. Comprendiamo ciò dai gesti degli scimmiotti e dalle grida paurose di questi. In un attimo la tribù è presa dal terrore e sembra non trovar via d'uscita possibile.
Ma, richiamati da quello che per la sua mole sovrasta tutti e ne è certamente il capo, gli animali si riuniscono in un sol gruppo. Parlottano, o meglio gesticolano, pur avendo l'aria di discutere, un pò tra loro e. al ripetersi del grido di allarme, che risuona sempre più pauroso, battono in precipitosa ma ordinata ritirata e, arrampicandosi sù per le liane, si inerpicano negli alberi e si perdono nella boscaglia.
La fuga degli scimmiotti di fronte ad un pericolo, certo non immaginario, fa acuire la nostra curiosità. Il pericolo, pensiamo, viene di là, dalla giungla; e verso il sentiero che si interna tra il folto della vegetazione si appuntano i nostri avidi sguardi. Un ruggito, che ormai conosciamo, ci attesta la presenza di un leopardo; un rapido smuovere di fronde e la fiera, che ha fugato i pacifici scimmiotti, è davanti a noi.
Strisciando sul terreno, il leopardo si avvicina. I suoi occhi hanno bagliori di fiamma, tutto il suo corpo sembra agitato da un tremito convulso. Si sofferma, fiuta l'aria e, d'un balzo, indietreggia e si nasconde tra i primi rovi della foresta. la belva è affamata, attenda la preda e, forse, con il suo straordinario fiuto, ha avvertito l'avvicinarsi di un boccone appetitoso.

L'agguato alla gazzella

Non vediamo più i leopardo, la lo "sentiamo" là tra il fogliame, proteso sulle quattro zampe e pronto a balzare. Trascorrono alcuni secondi, lunghi come una eternità; poi, timida e paurosa, una gazzella sbuca dal sentiero e si avvicina, circospetta, al torrente.
La bestiola avanza a piccoli passi, sembra che senta il pericolo e non si decida a scendere il greto. Intanto, il leopardo, ventre a terra sulla sabbia, è uscito dal suo nascondiglio e si avvicina alla gazzella.
Vediamo la belva avvicinarsi lentamente. I suoi occhi sprizzano addirittura fiamme, la sua coda, sempre mobile, sbatte l'aria con violenza, mentre la gazzella, sospettosa, ma ignara del pericolo che la minaccia alla spalle, si decide a muovere il primo passo giù per il ciglione roccioso che la divide dall'acqua.
Pochi istanti ancora, alcuni metri da superare strisciando ed il leopardo, spiccato il balzo, potrà affondare i suoi artigli sulle tenere carni della pavida bestiola. Seguiamo la scena come affascinati ed incapaci di fare qualsiasi movimento a pro dell'animaletto innocente che è in procinto di venir dilaniato dalla belva.
Ma quando il leopardo, raccolo sulle zam,pe e stesi i garetti, balza sulla preda, un grido spontaneo esce dalle nostre bocche. E' un attimo, ma il grido ha avvertito la gazzella che, pronta, sventa l'insidia. Un movimento del corpo, ed eccola, diciamo così, fuori tiro. Infatti il leopardo ricade sulla nuda roccia e non fa in tempo a prepararsi per il nuovo balzo, che la rpeda bramata, mossa dalla paura, supera velocemente il corso d'acqua e risalito il greto opposto si dilegua nella giungla.
Passandoci vicina, la gazzella ci scorge. Come a volere dimostrarci la sua riconoscenza per il nostro opportuno vocale intervento a suo favore, ci lancia uno sguardo fatto un pò di gioia, un pò di timore, ma certo pieno di affetto per noi.
Il leopardo, messo sull'avviso dalle nostre grida, sente la presenza degli uomini e, paventando il pericolo, rinuncia a seguire la gazzella, del resto ormai irraggiungibile nell'intrigo della giungla. La fiera, più irrequieta che mai, gironzola per il pianoro e digrigna i denti e sbatte furiosamente la coda, come a manifestare tutta la sua collera.
Ma improvvisamente si arresta. Immobile, fiuta ancora l'aria e poi torna e celarsi nel suo verde nascondiglio.
Un nuovo boccone, al posto di quello già dileguatosi, sta forse per giungere a portata di denti dall'affamata e vorace belva, ma questa volta non è una timida gazzella che viene a sfidare gli artigli del leopardo. Uno scimmione, alto un buon metro e cinquanta, dalle membra muscolose e quanto mai poco rassicuranti, rivelante in tutto il corpo e nei movimenti una grande forza non disgiunta da una buona dose di agilità, sbuca dal sentiero e, senza titubanza, avanza verso il corso d'acqua. Gli arti superiori del quadrumane, straordinariamente lunghi, toccano quasi il suolo, mentre la bestia, a passi lenti, ma con la sicurezza dei forti, va giù per il pianoro.
Formuliamo mentalmente il dubbio che il leopardo attacchi tanto nemico, ma il felino è pronto a smentire le nostre troppo assodate supposizioni. Esce dal riparo, la fiera, si porta avanti alcuni metri con il caratteristico strisciamento e poi, deciso, balza e piomba alle spalle della scimmia.

La battaglia con la scimmia.

L'attacco improvviso, sgomenta un pò il bestione. Ma è un attimo. Compresa la natura del nemico, lo scimmione reagisce. Scrolla con violenza il corpo, poi le due già larghe braccia si allungano tentando di afferrare l'assalitore. Inutilmente: il leopardo tiene duro ed i suoi artigli straziano le carni del quadrumane. Questi getta urla disperate e, in un estremo tentativo di salvezza, piomba al suolo e comincia a rotolarsi sulla sabbia.
Per alcuni istanti vediamo i corpi delle due fiere contorcersi e dibattersi; infine, il leopardo ha la meglio. Approfittando che l'avversario è a terra, lascia la presa alle spalle, affronta lo scimmione di fronte e lesto come il fulmine, affonda i suoi aguzzi denti nella gola del quadrumane.
Vediamo ora il leopardo bere avidamente il sangue della vittima e frugare le carni in cerca dei bocconi migliori. Siamo disposti ad attendere la fine del festino, quando un lontano brontolio del tuono interrompe la nostra contemplazione.
Senza che ce ne avvedessimo, nuvoloni neri e pieni di tempesta si sono ammassati sulle nostre teste. Tra poco anche la luna sarà coperta. E di lassù, ove le acque si perdono verso i monti del Lasta, giunge, con il brontolio del tuono, un rumore sordo e pauroso. L'uragano, che fra non molto giungerà fino a noi, si è già scatenato alla nostra destra; e la piena, la terribile piena dell'Allà, si annuncia con i rumori che ben conosciamo.
Partiamo, per non dire fuggiamo, verso l'accampamento. Occorre far presto se non si vuole che le acque precipitanti dai monti, invadano il nostro sentiero e ci costringano ad internarci nel folto della ignota e pericolosa foresta. Forziamo il asso e via, di fronte all'acqua; proprio come poco fa ha fatto la timida gazzella di fronte all'attacco del leopardo.
La luna è ormai coperta dalle nubi, ma la nostra marcia è veloce come più non potrebbe esserlo. Le due torce elettriche, giganteschi occhi di leopardo, ci portano con sicurezza sulle traccie della gazzella, lungo la via buona.
Cadono le prime gocce, che siamo già in vista delle tende. E lontano, lassù, all' "abbeverata" risuonano le lugubri risate degli sciacalli, che incuranti della tempesta, gozzovigliano intorno agli avanzi dello scimmione.
Le iene, lontane, lanciano al cielo i loro ululati di gioia e sembrano già assaporare gli ultimi fetidi avanzi di quelle che stasera sarà già una carogna, intorno alla quale esse banchettano allegramente.


Dino Corsi