Il Telegrafo del 20 ottobre 1935
Con i volontari senesi in marcia verso Adua

Etiopia, ottobre
L'ordine atteso e sospirato da mesi è finalmente giunto! E la grande marcia si è iniziata tra l'entusiasmo dei militi e dei soldati dislocati in A.O.
La meta che il Duce ha segnato è lontana,, ma sarà raggiunta nel tempo più breve, tanta è la foga travolgente delle Legioni e dei Reggimenti, tutti protesi nell'avanzata verso i futuri confini del nuovo Impero di Roma.
Nessun ostacolo della natura, nessuna potenza umana potranno avere ragione della fede ardente e della forza inarrestabile che distinguono la gioventù della Nuova Italia, inquadrata sotto i segni del Littorio e guidata dall'Uomo che Iddio ha voluto fosse il degno continuatore delle gesta dei Cesari.
Lontani migliaia e migliaia di chilometri dalla Patria, ma uniti nell'amore della terra nostra e nell'Ideale comune, le schiere dei giovani legionari guardano all'avvenire con la fiducia dei forti ed affilano le armi e temprano gli spiriti in attesa delle prove future.
Vercato il confine e posto piede in quelle terre che già conobbe gli eroismi dei nostri nonni, rese definitivamente italiane quelle regioni che furono teatro di gesta gloriose e conobbero lo spirito combattivo e la forza della razza italiana, inalberati i tricolori della Patria e le fiamme nere della Rivoluzione sui picchi pietrosi e sulle alte vette delle montagne, che già videro ondeggiare al vento le incontaminate bandiere dei "reggimenti martiri del '96", cancellata in poche ore la pagina nera della nostra storia e vendicato il martirio di quindicimila eroi, i fanti - tutti in Africa siamo fanti - del '35, degni discendenti di quelli del '15, proseguono la marcia con nell'animo la volontà più ferrea e negli occhi la visione di Roma e del Duce, visione che diverrà un giorno realtà, quando cioè essi riceveranno il premio delle loro fatiche, l'unico premio al quale ambiscono: la sfilata davanti a Benito Mussolini per le vie della Città Eetrna.
La meta di tutte le marcie, lo scopo di tutte le battaglie, il premio di tutte le fatiche: Roma.

Avanti, oltre il confine

Quando a Gurà ci raggiunse l'ordine di spostamanto in avanti, tutti intuimmo che la grande ora stava per suonare.
Le lunghe giornate di sosta in un accampamento comodo, troppo comodo per chi sognava la guerra, avevano si riposato i corpi, ma anche aumentate l'ansia e l'aspettativa che era in tutti. E l'ordine di partenza fu salutato come una liberazione.
Avanti, avanti, sempre avanti! E tra i canti di entusiasmo, la marcia ebbe inizio. Una, due, tre tappe e poi il confine.
Un passo, un balzo, ed una nuova grande pagina di storia era scritta. La notte dal 2 al 3 accampammo oltre confine, nei pressi di un grande corso d'acqua.
Mai le tende furono piantate con tanto entusiasmo, mai il riposo fu assaporato come quello della prima notte in terra etiopica.
A dire il vero, un contrattempo imprevisto venne a turbare per pochi minuti la calma che regnava sovrana nell'accampamento. Contrattempo alquanto comico, del quale fece le spese quel tal sangimignanese, di cui già parlai nella mia precedente corrispondenza.
Il barbuto figlio della città turrita (perchè il nostro si pavoneggia con i quattro peli che ha lasciato crescere sotto il mento) era di guardia armata all'accampamento.
Sveglio come sempre, occhi aperti e moschetto alla mano, il nostro camerata stava all'erta, tutto preso dalla responsabilità che gravava su di lui.
Verso le due del mattino, un rumore sospetto, proveniente dal folto di una macchia, desta l'attenzione della vigile scolta. La notte era buia, non si vedeva a cinque metri di distanza, il rumore persistente, tutto insomma era fatto per allarmare la sentinella. La quale sentinella, senza perdre per un solo istante il sangue freddo, si avvicinò lentamente al cespuglio, fino a quando scorse un'ombra che si muoveva fra il fogliame.
- Chi va là? - Nessuna risposta.
- Alto là! - Silenzio assoluto.
L'affare si complicava. Il bravo ragazzo ripetè per scrupolo di coscienza le intimazioni d'uso e poi, impugnando il moschetto e presa la mira, lasciò partire il colpo in direzione dell'ombra misteriosa.
Il colpo si ripercosse nel silenzio della notte e, in un attimo, svegliò tutti i dormienti. Le tende si aprirono e fu un accorrere di militi verso il posto da dove era partita la moschettata.
Fermo al suo posto con l'arma fumante fra le mani, lo sparatore indicò agli accorsi il cespuglio dove si intravedeva un corpo steso a terra.
- Ho spa...sparato là.
- Ma contro chi?
- U...u...un lo so (l'emozione rendeva più accentuata la leggera balbuzie). Fo...forse un a...a...bissino.
Qualcuno si avvicinò al cespuglio a trasse fuori dal fogliame il cadavere di un piccolo somarello di pochi mesi. La povera bestia, on avuta l'accortezza di rispondere con un bel raglio al "chi va là", aveva pagato con la vita il suo silenzio.
- E questo l'abissino?
- O don Chisciotte!
- A san Gimignano, questi so' leoni!
I commenti si intrecciarono e per un pò sopraffecero la povera sentinella, convinta, e giustamente, di aver fatto il suo dovere. Ma passato il primo istante di sbigottimento, il bravo ragazzo si riprese: - Dopo tuto sarà un ciuco, ma è sempre un ciuco abissino.
- Ma te avevi detto che era abissino, non un ciuco.
- O l'abissini un so' ciuchi, un so' bestie, Dio bonino! - E con questa uscita liquidò tutti e riprese il suo servizio di guardia.
Lentamente il silenzio si rifece nell'accampamento, ed unica traccia dell'accaduto rimase il corpo dell'asinello. Rimase per poche ore, giacchè al mattino numerosi improvvisati fornelli cossero a dovere le tenere carni della bestiola, confezionate in tante bistecche e cotolette...alla sangimignanese.
Il mio caro amico non mi porterà rancore, ne sono certo, se ho voluto far conoscere ai lettori de "Il Telegrafo" e particolarmente ai suoi compaesani, la sua prima avventura di guerra. Del resto questi fatterelli caratterizzano la vita militare e servono ad aumentare il buon umore della truppa e sarebbe un peccato non nominarli a chi, lontano, tanto lontano da voi, vive in continua ansia per i suoi cari, senza pensare che noi viviamo le più belle e le più allegre giornate della nostra vita.
Le più belle giornate! Giornate indimenticabili! Giornate che si susseguono lasciando in noi un ricordo incancellabile, ricordo che rimane il più caro dell'esistenza per tanti e tanti, che come me, come noi, hanno la fortuna di viverle.
La sosta nei pressi del fiume fu breve. Il pomeriggio successivo alla nottata del 3 ottobre levammo le tende, e dopo un bel bagno preso nelle prime acque abissine ("bagno nell'acqua di colonia del Negus" come disse un bello spirito staggese) incontrate sul nostro cammino, la marcia riprese tra il movimento e la confusione apparente delle retrovie.
Avanti, avanti, sempre avanti! Ogni passo un fremito di commozione e ogni metro un'ondata di entusiasmo.
Ricordi di un passato di lotta e di glorie italiche ovunque. "Qui nel '96 sostò il battaglione tale", "In questo villaggio riposò la tal'altra compagnia". "Di qui passò la colonna Baratieri", "Dall'alto dei quei monti, l'artiglieria bombardò il nemico". Ricordi che fanno fremere e gridano vendetta.
E l'ora della vendetta è suonata. Le aquile di Roma volano sul cielo abissino, volano e fanno udire il canto possente di motori apportatori di civiltà, ma anche di morte e distruzione se le circostanze lo esigeranno.
In basso, a valle o su per i dirupi rocciosi, passano i battaglioni e le legioni con tutte le bandiere al vento. Passano e vanno avanti, verso la vittoria, verso la gloria imperiale. E le bandiere e i labari, brani di Patria sacri e venerati, sembrano proteggere con la loro ombra i vivi e salutare tutti i morti per la grandezza dell'Italia.
Anche noi senesi abbiamo le nostre bandiere. Piccole, ma tanto grandi!
Una fiamma nera con scritto in mezzo a lettere d'oro un nome sacro: Rino Daus, è in consegna agli artiglieri, un gagliardetto tricolore, donatoci prima della partenza da Siena dai nostri balilla, è nel quartier generale della "23 Marzo", nua bandierina bianco-nera ricordo dell'A.C. Siena si trova in mano ad un milite, che fu ieri un "tifoso" appassionato ed è oggi un soldato entusiasta e pieno di fede.
Tre vessilli modesti, che comprendono in loro tutta la nostra fede ed i nostri ideali: il nero dello squadrismo, il tricolore della Patria, e la Balzana della nostra Siena bella.
Tre fiamme che hanno già garrito al vento della conquista e che sventoleranno domani al vento della vittoria, per dire tutto il nostro amore e la nostra dedizione al Fascismo, alla Patria, alla città dei nostri sogni.

Dino Corsi