Fin dai giorni immediatamente successivi all'arresto di Mussolini apparve chiaro che i rapporti tra le camicie nere del battaglione ed i reparti della divisione Bergamo, divenuti tesi già da molte settimane, fossero destinati a peggiorare rapidamente; la frattura che si era creata già nel corso del 1942 e che gli ultimi mesi di guerra aveva contribuito a rendere ancora più acuta, emerse clamorosamente dopo gli avvenimenti del 25 luglio.
Un tentativo di integrazione tra esercito e Milizia sarebbe stato destinato a fallire per le reciproche diffidenze ed ostilità probabilmente anche se attuato nei mesi precedenti; la sostituzione dei fascetti sul bavero della divisa e il giuramento prestato come unità inquadrate nei reparti del regio esercito non potevano sortire effetti concreti, se non quello di aggravare nelle camicie nere un desiderio di rivalsa e nei soldati dell'esercito un malcelato disprezzo.
La ricostruzione degli avvenimenti attorno a Spalato nei giorni che separarono l'arresto di Mussolini all'annuncio dell'armistizio non è di facile esecuzione, principalmente a causa della scarsità di memorie disponibili, la maggior parte delle quali riconducono ad una visione di parte degli avvenimenti, prima fra tutte quella del sottotenente Aldo Parmeggiani, allora ufficiale subalterno del III battaglione del 25° reggimento e passato poche settimane dopo con le bande partigiane di Tito.
La sua testimonianza risulta comunque particolarmente preziosa per tracciare i caratteri dell'atmosfera che accompagnarono i giorni precedenti l'8 settembre e gli effetti dell'arresto di Mussolini sulle camicie nere della LXXXIX legione: anche la disposizione di indossare le stellette sull'uniforme in sostituzione dei tradizionali fasci da parte dei militi dette origine a nuove tensioni (1).
All'8 settembre 1943 l'area di competenza della Bergamo poteva contare sui reparti della divisione, la XVIII brigata costiera, vari reparti indivisionati, tra i quali due battaglioni di bersaglieri, oltre ai militi della LXXXIX legione; il presidio italiano di Sinj, al comando del colonnello Destino, disponeva di due battaglioni del 25° reggimento fanteria e di un gruppo del 4° reggimento artiglieria; nell'entroterra era presente un importante presidio anche a Tenin, al comando del generale Giangrieco, con due battaglioni bersaglieri, il battaglione Cadorna della divisione Zara, una compagnia motociclisti, due plotoni di cannoni 47/32, e due battaglioni di domobrani croati.
La LXXXIX Legione, agli ordini del Console della Milizia Paolo De Maria, comprendeva in quel momento circa 750 uomini tra ufficiali, graduati e truppa, ripartiti nei circa 370 effettivi dell'89° battaglione e nei 470 appartenenti alla compagnia mitraglieri ed al 97° battaglione agli ordini del Primo Seniore della Milizia Carlo Federigo degli Oddi. Dei 437 graduati e truppa ancora in forza ai due reparti della provincia di Siena sui 766 mobilitati tra marzo 1941 e febbraio 1943, data nella quale giunsero gli ultimi rimpiazzi provenienti dalla coorte complementi, 399 erano dislocati a Drnis, nell'entroterra spalatino, altri 30 militi si trovavano inoltre in licenza e 8 in convalescenza, sorpresi dall'annuncio dell'armistizio lontani dai propri reparti.
Non vi sono riscontri di episodi di aperta ribellione, tuttavia appare plausibile la tesi secondo la quale nel corso dei quarantacinque giorni di governo Badoglio possano essere avvenuti contatti e persino tentativi di intesa con i tedeschi, analogamente a quanto era accaduto in altre località dove erano impiegati reparti di camicie nere. Già nell'immediatezza della caduta del regime fascista alcuni italiani della Milizia si erano presentati alle autorità tedesche a Zagabria chiedendo espressamente di essere arruolati nella Waffen SS; qualche giorno dopo arrivò la notizia che episodi analoghi si erano verificati nel Sud Tirolo, dove i militi si stavano presentando come volontari ai centri di arruolamento destinati agli altoatesini di lingua tedesca, che in base agli accordi tra Hitler e Mussolini, potevano scegliere di arruolarsi in formazioni germaniche.
L’idea della formazione di reparti di volontari italiani inquadrati dalle SS era stata presa in considerazione già nell’imminenza dell’armistizio e con maggior vigore nei giorni immediatamente successivi: tale ipotesi sarebbe in grado di spiegare la rapidità con la quale moltissimi reparti della Milizia si schierarono immediatamente con gli ex alleati; una dinamica che, pur non suffragata da alcuna documentazione, potrebbe essere presa in considerazione per comprendere il comportamento della LXXXIX legione al momento dell'armistizio. Il progetto venne formalizzato il 2 ottobre con una circolare di indirizzata da Himmler ai vari centri di raccolta riportante la sigla “Tg.Nr.35/143/43 g.” ed il significativo titolo “Programma per la formazione di unità della Milizia”, dove era specificato il comporta-mento da assumere nei riguardi dei volontari italiani, con i quali formare ed addestrare da parte delle Waffen SS per un rapido impiego in Italia.
Già dal pomeriggio del giorno 7 vennero notati movimenti di truppe germaniche: nelle sue memorie, un ufficiale del reggimento artiglieria divisionale della Bergamo ricorda che cominciarono ad arrivare apparecchi che sbarcarono a Spalato trecento militari diretti a Sinj, anche se tale afflusso era dovuto ad un avvicenda-mento concordato con le truppe italiane da effettuarsi proprio il 9 settembre in alcuni presidi, primo fra tutti quello di Sinj.
Nell’apocalittico e completo sbandamento dei reparti provocato dall’annuncio dell’armistizio, il comportamento della legione non rappresentò un'eccezione rispetto a quelli degli altri reparti di camicie nere che si verificarono nella quasi totalità delle zone di occupazione italiana; in Grecia, Francia e nei territori ex-jugoslavi quasi tutti i battaglioni della Milizia operarono quello che dalla storiografia è stato definito un vero e proprio ammutinamento con il conseguente schieramento al fianco degli ex alleati tedeschi.
Nell'area di Spalato, prevenendo di fatto qualsiasi eventuale iniziativa italiana, che in ogni caso non ebbe luogo per la completa inerzia dei comandi, già il giorno 9 le forze tedesche e quelle croate, con il pretesto di subentrare nelle località alle truppe italiane in via di sgombero, attaccarono, disarmarono e catturarono i presidi di Tenin e Sinj in mano ai reparti dell'esercito. In questo contesto il console De Maria, fornendo comunicazioni errate ed evasive, informò il comando della Bergamo di non essere in grado di resistere alla pressione tedesca, decise di passare con tutta la legione al fianco dei reparti germanici, dopo aver discusso con i suoi uomini sul da farsi ed a seguito dell'incontro con il comandante della 114.a Jaeger Division con il quale aveva trattato i termini del trasferimento del suo reparto nelle forze armate tedesche.
Se la defezione della LXXXIX legione permise ai reparti della 114.a divisione di attraversare il nodo stradale di Drnis senza incontrare alcuna resistenza e di puntare quindi con decisione in direzione sud verso Spalato e la costa dalmata, appare opportuno evidenziare che la città venne occupata dalle truppe tedesche solo il giorno 27. Sulle tragiche vicende che videro l'eccidio degli italiani, in buona parte civili, nei giorni immediatamente seguenti l'arrivo dei gruppi partigiani in città e sulla cattura di migliaia di soldati, abbandonati nelle mani dei tedeschi dal comportamento dello stato maggiore della divisione Bergamo che fuggì imbarcandosi per l'Italia il 23 settembre, il contributo della legione dovrebbe quindi essere opportunamente ricollocato ad un ruolo di concorso e non rappresentarne la causa principale.
Attribuire in questo senso ai circa settecento militi che ancora componevano la legione un ruolo determinante per la caduta della città di Spalato, ove erano riusciti a riparare oltre diecimila militari italiani, appare un esercizio arbitrario; che si fosse trattato di defezione o ammutinamento, comportamenti in ogni caso privi di ogni legittimazione giuridica e sui quali nel corso degli anni si è sviluppata una contradditoria analisi, la condotta delle camicie nere ebbe un peso che è stato evidentemente sovrastimato nell'attibuzione delle sue conseguenze di carattere operativo e bellico (2).
Appare evidente che l'indecisione e la negligenza mostrata dai comandi italiani più che il comportamento della LXXXIX Legione lasciarono privi di qualsiasi direttiva i reparti, determinandone il collasso, il disarmo e la conseguente cattura (3).
Tra le condizioni poste da De Maria vi era l'assicurazione che la sua unità non venisse impiegata contro altre forze italiane e la promessa che i suoi uomini sarebbero stati armati e riequipaggiati adeguatamente per poter continuare la lotta contro i nemici. I tedeschi accettarono e la Legione passò ufficialmente alle dipendenze della 114.a Jaeger-Division. Ai militi si accodarono anche altri gruppi di altre unità indivisionata presenti nell'area, incrementando il numero di italiani che scelsero volontariamente di continuare la guerra al fianco dei tedeschi, pur senza raggiungere le cifre che si sono consolidate nella storiografia contemporanea. Vennero tutti inquadrati in una Polizei-Freiwilligen-Verbande (Truppa volontaria di Polizia) della Ordnungspolizei tedesca, agli ordini dell'Oberst De Maria. Gli uomini continuarono ad indossare le loro vecchie uniformi, con una fascia bianca sulla manica sinistra della giubba con la scritta Ordnungspolizei. Nell'attesa di poter fare ritorno in Italia e combattere contro gli alleati, il reparto continuò ad essere impegnato come forza di sicurezza contro le formazioni partigiane. Nelle memorie di Aldo Parmeggiani viene più volte accennata la presenza di unità italiane impegnate nei combattimenti a fianco dei tedeschi, tuttavia non vi sono prove concrete del coinvolgimento di unità di camicie nere della LXXXIX legione nei combattimenti con i gruppi partigiani, tra i quali avevano trovato asilo gli sbandati italiani che erano riusciti a sfuggire ai tedeschi (4). Il battaglione citato nelle memorie di Parmeggiani non appare identificabile con assoluta sicurezza con il 97°; seguendo la disposizione dei reparti della Milizia che è possibile ricostruire, al momento dell'annuncio dell'armistizio nell'area erano presenti la CVII legione (107° battaglione, 107.a compagnia mitraglieri) e la LXXXIX legio-ne: mentre la LXXXIX legione venne trasferita a fine settembre verso Bihac e successivamente in Germania, la CVII legione venne trasferita in Venezia Giulia nel dicembre 1943.
Formalmente impegnati con le unità dell'esercito, i reparti di camicie nere operarono una scelta che si è prestata, nel corso degli anni, ad una serie di analisi incentrate ognuna su un differente punto di vista, politico e ideologico. Che si sia trattato o meno di un episodio di aperta insubordinazione nei confronti di una disposizione, quella dell'armistizio e della cessazione delle ostilità, censurabile nella forma e vergognosa per la modalità di attuazione, non rappresenta l'argomento di questa analisi; preme piuttosto sottolineare come l'adesione dei reparti alla decisione del Console De Maria e alla scelta di continuare la guerra al fianco dei tedeschi fu condivisa in larghissima maggioranza, pur se non unanime come parte della storiografia della R.S.I. ha inteso proporre.
Dei presenti in forza al momento dell'armistizio, 28 militi non seguirono il battaglione, per propria scelta personale o perchè lontani dai propri reparti: 16 di loro infatti vennero catturati dalle forze tedesche nella città di Spalato al momento del loro ingresso in città, condividendo così la sorte dei soldati della divisione Bergamo e degli altri reparti non divisionali fatti prigionieri e successivamente internati in Germania. Pur rappresentando una percentuale minima rispetto alla maggioranza del reparto che intese continuare la guerra al fianco delle forze germaniche, un tale dato rappresenta la conferma che la scelta di seguire il giuramento fatto e quindi di cessare ogni ostilità piuttosto che mantenere la parola data all'alleato tedesco, rappresentò un momento di dolorosa riflessione introspettiva per ogni milite; in un certo senso, la non unanimità del comportamento dei legionari restituisce un valore più rilevante sia ai 28 militi che non intesero proseguire la guerra, sia al resto del reparto che non volle accettare la resa.
Non appare tuttavia in questo senso corretta l'attribuzione di una valenza politica alla scelta compiuta dal battaglione e dagli altri reparti che si unirono ai tedeschi; al momento di compiere la scelta di campo, la Repubblica Sociale era ben lontana dalla sua costituzione e lo stesso Mussolini si trovava ancora in stato di arresto, prigioniero del governo Badoglio.
Il 27 settembre i reparti del Miliz Regiment De Maria si concentrarono a Drnis. Dopo aver attraversato il paese con il labaro e la fanfara in testa, i legionari vennero passati in rassegna dal comandante della 114.a Jager Division che ringraziò i soldati italiani per la loro coraggiosa scelta e consegnò al Console De Maria un attestato in cui si riconoscevano i meriti del reggimento nella lotta contro le locali bande partigiane (5). Tutto il materiale esuberante, l'armamento pesante, gli automezzi e i quadrupedi vennero presi in consegna dai tedeschi con la promessa di inviarli quanto prima in Italia, ai legionari rimase l'armamento individuale oltre al labaro e alla fanfara della Legione. Da Drnis il reggimento si mosse, in parte a mezzo ferrovia, in parte su autocarri, verso Knin dove il locale presidio italiano, preso contatto con il comando di De Maria, si unì al Miliz Regiment. Dopo alcuni giorni di sosta a Knin, vennero costituiti due convogli su autocarri che raggiunsero Bihac via Gracac.
Tra i reparti del battaglione e della compagnia mitraglieri che componevano il Miliz Regiment De Maria, la quasi totalità dei quadri sottufficiali rappresentò il nucleo attorno al quale sarebbe stata più tardi costituita ed organizzata la Legione SS italiana (6). Nel corso dei combattimenti sul fronte di Anzio e Nettuno dell'aprile-maggio 1944 ventuno tra sottufficiali e graduati furono agli ordini del Obersturmbannfuhrer Degli Oddi con l'81° reggimento SS, e dell’aiutante in seconda tenente Bruno Minucci, veterano del 97° battaglione fin dai cicli operativi in Africa Orientale nel lontano 1937 (7).
A Siena, dopo l'iniziale sbandamento seguito all'annuncio dell'armistizio, le strutture del precedente apparato del Regime avevano dato i primi segnali di attività: già il giorno 11 si ricostituiva il Fascio Senese, ed il Comando della 97.a Legione, formalmente non sciolta, emanava il primo comunicato per la chiamata degli ufficiali e militi appartenenti, pubblicato su La Nazione nei giorni 23 e 24 settembre e rivolto in primo luogo a coloro che, in convalescenza o in licenza al momento dell'annuncio dell'armistizio, si trovavano separati dai propri reparti (8).
Il 5 ottobre il Comando emanava inoltre un bando di arruola-mento per l'incorporamento in non meglio specificati Reparti Speciali, paventando per i renitenti il deferimento al Tribunale Militare di Guerra (9). Mentre le organizzazioni dell'apparato del partito stavano lentamente riorganizzandosi anche nella Provincia, il 25 novembre 1943 il Comando della 97.a Legione, nell’ultimo atto della Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale a Siena, comunicava le direttive per l'arruolamento di ufficiali e militi (10). Formalmente ancora esistente, la Milizia Volontaria per la Sicurezza nazionale non avrebbe avuto presso la R.S.I. una diretta prosecuzione nelle settimane successive, mentre, seppur limitatamente al territorio meridionale italiano sottoposto al governo Badoglio, sarebbe stata dichiarata ufficialmente disciolta solo dopo alcune settimane.