Il Telegrafo del 1 maggio 1936
Serata cinematografica sotto il bel cielo d'Africa

Samrč, aprile
Che a trenta chilometri dal nostro campo, e precisamente nei pressi del villaggio ove e' accampato il Comando di Divisione, c'era il cinematografo e si davano spettacoli serali, con la proiezione di pellicole sonore e parlate, ce lo avevano detto giorni fa i nostri conducenti, reduci da una corvč che li aveva portati alla sede del Quartier Generale della "XXIII Marzo"ove avevano assistito all'inatteso spettacolo. Ma noi eravamo rimasti un po' increduli. Il cinema a poche diecine di miglia dalle prime linee? Il "sonoro e parlato" a cento chilometri oltre Macallč?...Ma va' la'!
Poi sono venuti gli autisti delle autocarrette, giunti fino a noi con le loro traballanti e snodate "cassettine"; e ci hanno dato la conferma. Il cinema c'e' e funziona realmente. All'aperto, e' sorta la cabina di proiezione, e' stata improvvisata una vasta platea con posti a sedere...in terra e sui sassi, e' sttao steso un telone candido e tutte le sere si da' spettacolo dalle ore 21 alle 23. Ingresso gratuito, senza limitazione nel numero degli spettatori.
Ogni giorno nuovo programma. Il film "Luce" si ripete per tre spettacoli consecutivi, Negli intervalli, funzionera' la fanfara di un battaglione Camicie nere. nelle vicinanze della...sala di proiezione sorgono alcune baracche-spacci in funzione di caffe' e bar..:E chi piu' ne ha piu' ne metta.
Come si fa, dopo tanti mesi d'Africa, a resistere a quel richiamo di civilta' e di vita, che sotto forma del "sonoro e parlato" giunge fino a noi dalle rertrovie, valicando in un sol balzo tre o quattro ambe e un paio di fiumi, senza contare i vari chilometri di pianori sabbiosi?
Dai, picchia e mena, prega e riprega, corri a destra e a sinistra, riusciamo a strappare un permesso di poche ore. Un "permessino" che e' per noi piu' di una licenza illimitata, un foglietto di carta, sul quale sono tracciate parole miracolose: "Si permette alle CC.NN. Tizio, Caio e Sempronio ecc. ecc. di recarsi a X. e di usufruire, sia per l'andata che per il ritorno, di automezzi di trasporto sia militari che privati". Una firma, un timbro. Sei biglietti di viaggio. Sei ingressi al cinema. Sei camicie nere che toccano il cielo con un dito.

Viaggio in autocarretta

Il sole e' sempre alto quando giungiamo al nucleo avanzato di sussistenza, ove speraimo trovare l' "imbarco". Abbiamo lasciato il campo in fretta e furia, tralasciando anche di consumare il secondo rancio, nel timore di non giungere al "nucleo" prima della partenza dell'ultima autocolonna. Infatti facciamo appena in tempo ad afferrare al volo alcune pagnotte che i camerati della sussistenza ci porgono dietro nostra richiesta che l'ultima carretta, vuotata del suo carico, riprende la via del ritorno.
Uno, due, sei salti e ci troviamo ammassati dentro la "cassettina" a quattro ruote. L'autista, dalla improvvisa invasione, preme sul freno a pedale ed interrompe la marcia appena iniziata. Piuttosto accigliato, scende dal sedile di guida e ci invita a fare altrettanto: A terra! Che modi son codesti? Lo sapete che e' proibito?
- Proibito cosa?
- Trasportare militari. Sveglia! Scendete!
Senza fretta, studiandomi anzi di esser piu' lento possibile, tolgo di tasca il fogliettino magico, lo spiego e lo pianto sotto gli occhi dell'autista. "Ah!", fa lui. Ingolla un po' di saliva e poi: Allora va bene. State pure. Ma sorreggetevi forte alle sponde e preparatevi a gettar fuori la cena. La strada non e' ancora cilindrata: balleremo discretamente. - Ritorna al suo posto, mette in moto e fa muovere la carretta. Tran...tran...Si parte!
Le ruote girano nella sabbia, una nuvola di polvere rossastra si alza intorno a noi, la "cassetta" ondeggia e noi ci aggrappiamo alle sponde. Si balla, si traballa. A momenti sembra che la carretta non voglia intenderla di tenere la strada e salta e si impenna come un puledro indomito. Forse l'autista si diverte a farci ballare. Lo fa apposta: cerca i peggiori passaggi, tutti i sassi e tutte le buche della strada son nostri...E lui, impassibile e attento, stringe tra le mani il volano e sembra non curarsi del nostro tormento. Che poi, e' anche il suo, questo che a noi, abituati a camminare a piedi, embra un gran tormento.
E' la sua fatica di tutti i giorni, e' il suo tributo alla vittoria come questo continuo traballare su quattro ruote che scorrono nella sabbia, sulla roccie e financo nel greto dei fiumi. Quando la strada e' appena tracciata, quando le mine non hanno ancora vinta la roccia, quando insomma la via agli automezzi e' preclusa, la cassetta "antiestetica e traballante" passa lo stesso. E gli autisti - che noi talvolta invidiamo durante le nostre marcie - portano i loro "muli meccanici" su per sentieri che non meritano il nome di mulattiera e giu' per dirupi e scoscesi paurosi, traversano distese di aride sabbie, boscaglie intricate e, a prezzo di fatiche gravi quanto oscure, combattono la loro battaglia, fanno la loro guerra, mentre chi non sa, chi non ha provato "a ballare" guarda con invidia a loro che vanno in automobile.
Tran...tran...Un chilometro dietro l'altro, la strada passa. E' finito il tratto sabbioso e stiamo ora per affrontare una ripida discesa che conduce ad un torrente ricco di acque. Ma improvvisamente la carretta si ferma. L'autista, a terra, ci fa segno di scendere. "Mezz'ora di sosta", dice, indicando il fondo valle.
Dal torrente, su per quelle che tra cinque o sei giorni sara' una camionabile perfetta, avanza una colonna di cammelli. E' teerminata l'abbeverata e i neri cammellieri spingono i loro quadrupedi, carichi fino all'inverosimile, su per il tracciato stradale. Lentamente, accompagnandosi con il caratteristico movimento della testa, i cammelli salgono, incitati dai loro conducenti. legati l'uno all'altro, venti animali procedono sotto la guida di un solo uomo. E cosi', in fila distinte, raggiungono il pianoro ove la carretta sosta in attesa che la carovana lasci la via libera.
Lanciando il loro nitrito, che sembra una risata ironica, i cammelli all' "Uuuh!" gridato dai conducenti, si piegano sulle ginocchia anteriori, prima, e su quelle posteriori poi, per assumere il consueto e indolente atteggiamento di riposo. I cammellieri aggiustano i carichi, tirano le cinghie e curano con speciale attenzione questo o quel quadrupede fiaccato.
Osserviamo l'armeggio dei diavoli neri, quando la voce di uno di essi risuona come un richiamo. I cammellieri accorrono intorno a quello che ha parlato e, disponendosi in semicerchio, sembrano disporsi per un sacro rito. E cosi' e' infatti.
I nostri cammellieri appartengono tutti alla razza di Ben-Amhur. Tra i piu' fedeli dei nostri soldati eritrei, professano al pari degli indigeni del bassopiano e della costa, la religione mussulmana. E come tutti i maomettani, sono devoti a ligi alle prescrizioni del "Corano".
Fedeli all'Italia come lo sono tutti i mussulmani dell'Eritrea e della Somalia, i Ben-Amhur nutrono per la Patria lontana un attaccamento pari al loro fanatismo religioso. Cosi', combattono meglio di tutti gli altri indigeni e vanno incontro alla morte con la noncuranza fatalistica di quella razza, che crede nel paradiso di Maometto ed alle gioie che questo riserva ai caduti in combattimento.
A differenza dei cristiano-copti, i maomettani non ammettono restrizioni o compromessi in fatto di Religione. Non sono quindi in balia di questo o quel sacerdote, ne' debbono sottostare ai capricci del primo ras che assume pose da riformatore. Ogni mussulmano e' in se stesso un tempio, una moschea. E quando deve pregare, prega anche se solo e sperduto nell'immensita' delle sabbie o delle ambe africane. I copti invece, orano soltanto con l'assistenza del clero e non tralasciano mai di dare alle loro preghiere quel carattere pomposo e un tantino comico, che contrassegna del resto tutte le cerimonie e le azioni collettive della gente di razza tigrina od amharica.
Contrariamente agli ascari di religione copta, che marciano sempre seguiti dal sacerdote e non pregano che raramente, i mussulmani - e particolarmente i cammellieri Ben-Amhur - non tralasciano mai di recitare quelle preghiere che il Corano prescrive loro.
E cosi', al semplice cenno del piu' anziano, i venti indigeni, conducenti la colonna che ha costretta ad una sosta la nostra carretta, si dispongono per la preghiera della sera.
E' il tramonto. Ed ogni buon maomettano non puo' e non deve lasciar calare il sole senza prima essersi rivolto alla Mecca ed aver invocato ad alta voce il grande Allah e Maometto suo profeta.
I nostri cammellieri, mormorando una nenia che ricorda il fusciar del vento tra le foglie dei palmizi, si prostrano fino a baciare il suolo. Nel fervore della preghiera, i loro occhi sono fissi verso un punto immaginario. Valicando immensita' di spazio e superando la catena di monti che cingono l'orizzonte, gli sguardi di questi fedeli si portano al di la' della terra d'Africa e del mare e si posano sulla Citta' Santa, sulla cima del piu' alto minareto, ove il "mullah", salutando il calar del sole, ripete alle genti che v'e' un solo Iddio: "Allah e Maometto e' il suo profeta".
La preghiera volge al termine. Gli uomini si rialzano, sollevano le braccia al cielo e gridano per l'ultima volta il nome a loro sacro: Allah! Il sole e' ormai nascosto la' dietro quell'amba che appare coperta da un velario di fuoco e brilla delle mille luci del tramonto. I cammelli, senza attendere il segnale, si rialzano, si muovono e lentamente riprendono il cammino.
Giu', nella vallata ove scorre placido il torrente, risuona la risata stridula dela iena e il latrare pauroso del gattopardo. Calano le ombre della sera ed i carnivori escono dalle loro tane: l'una per pascersi degli avanzi di una carogna, l'altro per balzare con feroce brama sul corpo di una timida gazzella e dilaniare tra i suoi artigli le tenere carni. Intanto placano la loro sete, che la paura degli uomini ha fatto loro contenere per un giorno, e gridano di gioia per l'imminente festino notturno.
I cammelli, avvertiti della presenza delle fiere, accelerano l'andatura e marciano spediti verso il posto di tappa. I cammellieri Ben-Amhur, avvolti nel bianco barracano che nasconde la divisa kaki, ci passano vicino e salutano romanamente. Un leggero venticello alza nuvolette di sabbia e viene a sfrzare le nostre faccie. Giu', ai amrgini del torrente, alcuni palmizi, sferzati anch'essi dal vento, si piegano e si divincolano, facendo ondeggiare la verde chioma.
La nenia dei cammellieri, che nuovamente risuona nello spaziom completa il quadro e rende piu' suggestiva questa visione dell'oriente pittoresco.
Ma tra pochi istanti il rumore del motore coprira' la canzone degli indigeni, fara' tacere e fuggire le fiere, ci richiamera' alla realta' delle cose e ci ricordera' che "laggiu' " il cinema attende il nostro arrivo. L'occidente dopo l'oriente. Potra', pero', il "modernissimo sonoro e parlato" annullare la visione quasi irreale e certamente meravigliosa che per mezz'ora ci ha tenuti inchiodati nella contemplazione di un quadro tutto lucente di pittoresco e di nuovo?
Tran...tran...la carretta discende lenta verso il fondo valle. Il ballo riprende e continuera' ancora per un'ora buona. Tran...tran...le ruote girano, il motore batte colpi precisi e ritmati, l'autista ci guarda e sembra dirci, con quel sorriso che illumina la sua faccia matida di sudore e coperta di polvere: Come va la scarrozzata? Si balla, eh! Ma io non lo faccio mica apposta; anzi, fo del mio meglio...
E che non lo faccia apposta ne siamo ormai convinti anche noi, perche' vediamo quanto fatichi il bravo ragazzo a tenere la carretta in istrada e comprendiamo che, malgrado l'allenamento, anch'egli non si trova in una troppo comoda posizione. E ci diciamo sottovoce: E dire che si ha il coraggio di invidiare i carrettisti.

"Sonoro e parlato"

Eccoci! Siamo arrivati! Lo schermo si alza tra due baracche e sembra salutare il nostro arrivo, con i continui ondeggiamenti cagionati dal venticello che spira ancora.
Manca mezz'ora e piu' all'inizio dello spettacolo, ma noi ne approfittiamo per scegliere un posticino discreto. eccolo trovato il posto al centro! Sei pietroni ci servono da sedili e sei sigarette ci aiutano ad ingannar l'attesa. Il tempo vola. E con il volare del tempo giungono a frotte gli spettatori. Camicie nere, soldati, operai e indigeni di ambo i sessi e di tutte le eta', affollano ormai lo spazio riservato al pubblico e si accingono ad assistere alla proiezione del film. Noi ci guardiamo intorno e rimiriamo le faccie che ci circondano. Ma su nessuna di queste faccie scorgiamo quell'ansia che sappiamo essere dipinta sui nostri volti.
Per loro ormai, anche per gli indigeni, il cimena e' roba vecchia. Sono gia' quindici giorni che lo vedono. Per noi invece, che veniamo di "lassu' ", e' una novita'. Una grande novita'!
Il pensiero che, sia pure attraverso lo schermo di proiezione, rivedremo tanti aspetti della vita borghese, le citta' europee, le donne biuanche, specialmente le donne bianche, ci fa quasi tremare di emozione.
Lo spettacolo ha inizio, la pellicola si snoda e le immagini di attori noti passano sul telone bianco. Ecco De Sica, la Rissone, Tofano...Par di essere in famiglia. I divi del nostro teatro ci sembrano fratelli. Vien fatto di esclamare: Toh! Guarda chi si vede! O tu cosa fai in Africa?
La vicenda cinematografica segue il suo corso. Ma la trama non ci interessa. Un po' perche' conosciamo gia', attraverso il teatro, lo svolgiento del lavoro e maggiormente perche' la "figure" richiamano tutta la nostra attenzione.
Non possiamo staccare gli sguardi dallo schermo, specialmente quando le donne "sono di scena". Donne, donne e donne. Donne bianche, italiane e tutte belle. Le nostre donne che il cinema porta fino a noi, con tutta la loro grazia, il loro fascino e la loro femminilita'.
Checche' ne pensino in Italia i fanatici di "Faccetta nera", i combattenti in A.O., che non contano mai la canzone di moda e che non si lasciano vincere dalla tentazione del frutto esotico (perche' e' un frutto poco igienico e poco gradevole), sognano, con la Patria e con la casa, la "donna", la vera donna. Quella donna che li attende e che, meglio di tutte le veneri nere, sapra' con il suo abbraccio ripagarli di tanti mesi di...sospiri. Dopo la vittoria finale, sfileranno i legionari davanti al Re e al Duce, ma non si sogneranno nemmeno lontanamente di trascinarsi dietro una faccetta nera spalmata di burro fermentato. I loro occhi cercheranno invece tra la folla figure note e amate. Cercheranno la mamma, la sposa, la fidanzata; e nell'abbraccio materno o nell'amplesso appasionato ritroveranno la donna italiana.
Di sfuggita il cinematografo ci ha riportati per due ore in Italia e ci ha fatto vivere in un'atmosfera di famigliarita'. Ma le due ore sono presto trascorse. Lo schermo e' tornato ad essere bianco, la folla ha abbandonato il recinto dello spettacolo e noi - i sei venuti da "lassu' " - ci siamo trovati soli nella notte africana. Soli con i nostri pensieri, con i nostri sogni...
Ci siamo scossi. Come destati da un lungo sonno, abbiamo mirato il cielo coperto di stelle, le distese sterminate di tende, il villaggio vicino, tutto brulicante di genti nere con sciamma bianchi, le euforbie giganti, immobili sotto il soffiare della brezza notturna, e infine i nostri sguardi si sono posati sulle ambe lontane che si parano davanti a noi, a meta' della strada che conduce al campo, alla prima linea.
Abbiamo pensato ai nostri camerati, gia' assopiti sulla tiepida sabbia, ai piccoli posti vigilati dalle insonne sentinelle, al cammino percorso e a quello da percorrere, alla battaglia di ieri e a quelle di domani, a tutta la nostra vita di combattenti e, riflettendo, ci siamo sentiti come presi dal rimorso di aver rubato quelle due ore alla guerra, al servizio, alle armi.
Il cinema, le donne bianche, tutte belle cose, ma il combattente che "sente", come sentono i legionari la incomparabile bellezza della guerra, non puo' e non deve lasciarsi vincere dalla nostalgia e dai ricordi.
A tutti i film "sonori e parlati" il combattente preferisce quello del quale e' attore il cannone che, meglio di tutti i divi, sa parlare ed essere sonoro quanto mai.
Domani, quando l'Africa sara' un ricordo nelle menti dei combattenti, il legionario d'Africa, con la compiacente complicita' dell'oscura sala di proiezione, potra' stringersi vicino alla sua bella e ripensare ad un film veduto sotto il cielo dei tropici, quando era "laggiu' "a compiere il suo dovere di italiano e di fascista. E pensando al passato assaporera' maggiormente la gioia di sentirsi vicino alla sua donna, tanto sognata allorche' divampa l'ironia di "Faccetta nera".

Dino Corsi