Il Telegrafo del 5 novembre 1936
La consacrazione del cimitero di Uoldia

Uoldia, ottobre
Cimiteri di guerra, templi della gloria e del sacrificio, sono sorti un pò dappertutto sul vesto territorio del nuovo Impero ROmano; ovunque dove si combattè e si vinse, dove si lavorò senza posa, qua e là sulle ambe pietrose e sui piani sabbiosi o verdeggianti di vegetazione, nei più remoti angoli della foresta tropicale, in ogni più selvaggio e recondito sito di questo non più misterioso oriente africano, l'ammirevole, memore e riconoscente mano del Legionario e del soldato italiano ha lasciato segni imperituri di gloria a ricordo di chi, combattendo e faticando, tutto donò alla Patria, alla Fede, all'Idea.
Nei pressi del villaggio di Uoldia, tra la cerchia delle colline ridenti di vegetazione lussureggiante, a poche centinaia di metri dalla sede del Comando di Divisione, le Camicie nere della "23 Marzo", i legionari dell' "Implacabile", hanno voluto che sorgesse, sacro tra i luoghi sacri, il Cimitero per i camerati, per i fratelli caduti nel compimento dell'ultimo sforzo.
Scalpellini e scultori di Rapolano e di Carrara; cementisti di Livorno; muratori e manovali di Siena e di Pisa; fiorai di Firenze; rudi e forti portatori di Perugia, Terni, Foligno e Spoleto; faticatori di Volterra, di Poggibonsi e del Monte Amiata; artieri di Colle Val d'Elsa, di Arezzo, di Grosseto e di Montevarchi, artisti di Siena, di Firenze e della Spezia; tutti, insomma, i più genuini rappresentanti del laborioso popolo delle Regioni che "dell'Italo suol son cuore", hanno contribuito al sorgere di quel tempio di crsitiana, umana e fascista pietà, che, oggi, tra le colline di Uoldia, sta a testimoniare il sacrificio grande, immensamente grande, della nuova Stirpe Italica.
Di quella stirpe, fatta di uomini giovani ed entusiasti, che tutto offrirono - e tanti tutto diedero - alla Patria, quando il Duce chiamò a raccolta le sue Camicie Nere; quelli, tra le Camicie nere, che preferivano e preferiscono il "vivere pericolosamente", come pericolosamente vissero ieri, vivono oggi e vivranno domani se la Patria ed il Fascismo lo vorranno.

E' domenica. Forse l'ultima giornata di festa che trascorreremo a Uoldia, giacchè tra breve Legionari e Battaglioni e Reparti leveranno le tende e prenderanno la via del ritorno, verso Massaua, verso l'Italia, incontro ai cari che aspettano ed a braccia che si protendono ansiose.
Ma qualcuno rimarrà quassù. Come ad Enda Jesus, sotto il Forte Galliano; come nell'oscura gola dell'Amba Tzellerè là nell'epico Tembien; come sull'altura ridente di Gula Gul, lungo la via di Socotà; e come infine nel greto verdeggiante del torrente Hamid, anche a Uoldia, chiusi nel sacro recinto di un Cimitero di guerra, rimarranno i nostri camerati di ieri, i compagni di cinque battaglie e di tanti mesi di vita dura., gli Eroi purissimi della leggendaria epopea vissuta dai legionari della "23 Marzo", gli "implacabili" arditi della Prima Divisione, che immolatisi per la conquista dell'Impero, rimangono oggi, e rimarranno domani, in eterno scolte vigili e gloriose sulle posizioni conquistate con le loro armi e consacrate con il loro sacrificio.
Recinto da un muricciolo di pietra che ricorda un pò i trinceramenti improvvisati nei giorni belli della lotta, il Cimitero di Uoldia sorge di una collinetta dominante la vallata che porta a Dessiè. Alta e grave, una croce nera si innalza al centro del luogo sacro, domina e valle e colline circostanti e sta lì a dire alle genti quanto e quale fu il sacrificio dei Prodi. Intorno alla croce, le tombe. Dissimili nella forma, varie nell'ornamento, ma tutte uguali nel significato, i tumuli racchiudenti le spoglie di chi, dopo aver combattuto e vinto, cadde per la Redenzione e la grandezza dell'Impero. Tutte uguali ed immensamente grandi, come uguali e grandi sono quelle dei mille e mille fratelli caduti in A.O. le tombe di Uoldia!

E' la terza domenica di ottobre, ma sembra primavera quassù tra le verdi euforbie della collina. Ed il Cimitero è un prato fiorito. Fiori ovunque: sulle tombe, lungo i viali e tra le pietre del muricciolo. Fiori che stamani all'alba, in una nobile gara tra uomo e uomo, abbiamo strappato alle roccie della montagna, raccolti sui prati e scovati qua e là in mezzo ai villaggi, tra le capanne e gli orticelli degli indigeni. Fiori per i Nostri Morti, per quelli che riposano a Uoldia e per tutti quelli che dormono il loro sonno di gloria negli innumerevoli Cimiteri dell'Impero e della Madre Patria.
Intorno al Camposanto un quadrato di truppe. Il valoroso battaglione mitraglieri è qui con le sue armi pesanti; quelle armi che ieri cantarono canzoni di morte in Val Gabat, sull'Aradam e nel Tembien, sono oggi mute, ma con le loro bocche protese verso il sacro recinto, sembrano volere ora intonare un inno di gloria in onore di chi tutto donò alla Fede. Ed i baldi artiglieri del Gruppo da 65-17, stretti dappresso ai mitraglieri, guardano lontano, sull'altura che è prospiciente al Cimitero, i loro miracolosi cannoncini, come per chiedere alle armi della Vittoria - di tutte le Vittorie - una salva, tante salve, in omaggio a chi ieri voloò all'attacco, sotto la valida protezione delle Batterie e che oggi è volato in cielo, nel Cielo degli Eroi.
E vi sono i militi del "Genio", di quel Genio silente e laborioso, che tanta parte ha avuto nella conquista dell'Impero; i rudi conducenti delle salmerie divisionali, i "fedelissimi" della Benemerita ed infine la compagnia della pietà: gli arditi portaferiti, che dopo aver combattuto ed essersi coperti di gloria in tante battaglie per soccorrere i camerati colpiti, si sono prodigati, insieme a tanti compagni delle Legioni e del Genio, nella costruzione e nei lavori di abbellimento del Cimitero.
Uno squillo di tromba annuncia l'arrivo del console Piroli, Comandante interinale la Divisione, in assenza di S.E. Siciliani. La truppa si irrigidisce sull'attenti. Si presentano le armi. Ed il Comandante varca la soglia del recinto sacro. Il valoroso ufficiale si sofferma accanto alla prime tombe a capo scoperto. Il Console, il condottiero della Legione Umbra, stende il braccio destro nel saluto romano.
E lo rivediamo, il vecchio soldato di tutte le guerre così come lo vedemmo in un giorno del decorso febbraio, quando a quota 2257, Val Gabat Calaminò, salutava con il gesto imperiale i suoi militi, le sue camicie nere, i "suoi figli" caduti nel primo sanguinoso cimento della "23 Marzo". e come allora, gli occhi del "buon papà Piroli" sono bagnati di lacrime.
Don Bezzi, il nostro infaticabile Cappellano, il valoroso Sacerdote in divisa di Centurione, si appresta a celebrare il sacrificio della Santa Messa. Ancora una volta, le truppe si irrigidiscono sugli "attenti" ed il più riverente silenzio si fa intorno all'altare da campo, eretto al centro del Cimitero, aotto la grande croce. Grave e solenne, la voce del Cappellano echeggia tra le tombe infiorate a ripetere i sacri detti della Religione di Roma; e diviene, la voce del Ministro di Cristo, più solenne e mistica quando, al termine della Messa, il Prete-soldato esalta con parole commoventi il sacrificio dei fratelli caduti.
Poi l'acqua lustrale cade sulle tombe, a consacrazione di chi tutto donò alla Patria. ed all'appello fascista, fatto dal Console Prioli per tutti i caduti della "23 Marzo"la truppa risponde "Presente!". Si presentano le armi e la cerimonia ha termine. Lentamente e co ordine i reparti discendono la collina e vanno verso gli accampamenti, in silenzio.
Non si canta oggi, ma si medita mentre la commozione stringe la gola a tutti e fa lacrimare molti. Si meditano le parole di Don Bezzi, quelle parole che ci han fatto piangere:
"Tornando alle vostre case, mie camicie nere, e ricevendo l'abbraccio delle perosne amate, pensate, nella vostra gioia, al piccolo Cimitero di Uoldia; pensate a queste sacre tombe, ai santi corpi che qui dormono il loro sonno eterno e, stringedovi al cuore la mamma, la sposa e i figlioletti, pensate ad altre mamme, ad altre spose, ad altri bambini..."


Dino Corsi