La Nazione del 2 aprile 1939
Luigi Burroni

Bahar-Dar, marzo 1939 - XVII
Ci sono volute forse le tenebre di questa notte tetra e piovigginosa perchè il mio spirito insonne si raccogliesse intorno ai fatti ed eventi che èer lungo tempo resero comuni le nostre esistenze.
Vicino e lontano, contro gli scogli, rumoreggia il Tana, schiaffeggiando contro di essi le sue lunghe ondate. Chiusa nel suo forte, in un viluppo di reticolati, tra ombre ed ombre, sparse ed isolate che vigilano e vegliano all'intorno, Bahar-Dar dormiente sembra nascondersi ad ogni sguardo.
In quest'ora sono mille e mille i pensieri che si affollano nella mia mente ed in ciascuno di essi io sento ancora la Tua vicinanza, io scorgo ancora la Tua figura vivente e Ti seguo e Ti parlo e Ti chiamo. Tutto mi dice di Te: l'adolescenza lontana sui banchi della scuola, la giovinezza virile sui campi di battaglia.
Ti sorrideva la vita! La Tua volontà resa oltre ogni limite, la bontà, la serietà, Ti resero "bravo" agli occhi di tutti e bravo fosti. Le ambe severe di Gondar, i monri desolati dell'Ambaciara, la piana insidiosa e malsana di Bahar-Dar, tappe gloriose del nostro faticoso cammino, Ti videro sempre tra i primi. Mai lamento uscì dalle Tue labbra!
Freddo e calmo, non permettesti che ansia e timori, che gioie e tristezze di ogni ora e di ogni giorno intaccassero il Tuo carattere nobile e fiero. L'orgoglio, il tenace Tuo orgoglio, Ti rese sprezzante ad ogni pericolo e fatica, e disagi di mesi e mesi, nulla poterono nel Tuo spirito temprato ad ogni tempesta.
Non pensavi alla morte! Non potevi pensarci. Amavi la vita come uomo; veneravi la Patria come soldato e fascista; idolatravi la famiglia, come giovane dabbene. Alieno dai discorsi e dalle troppe parole, in questa terra la solitudine fu sola la Tua fedele compagna. Eppure ai Tuoi, ai nostri ragazzi, mai venne meno nei momenti più tristi, un Tuo sorriso che schiudesse gli animi pieni di sconforto, una Tua parola che donasse un pò di conforto.
Un giorno, nei pressi di Ifag, sul far della sera, bivaccavano gli uomini intorno ai grandi fuochi; in semicerchio macchine possenti riposavano come mostri mansueti. Solo qualcuno di questi mostri, ritardatari, brontolava lontano ancora, sulla pista piena di polvere, che da Gondar per cento e cento chilometri si dilunga fino a Bahar-Dar.
Tu, solo ed appartato, guardavi e meditavi. Ad un tratto una voce:
"Signor Tenente, il tale ha la febbre, molta febbre." In un attimo rivedo ancora la Tua mano stanca, posarsi su di una fronte abbronzata e sudata, ricordo ancora la sua voce chiedere qualche cosa di caldo...Ed in quella notte, sulla nuda terra, nostro comune giaciglio, per la prima volta ti mancarono coperta e pastrano.
Nel lungo e tribolato periodo di piogge, sotto il sole e al vento della stagione asciutta, durante le notti insonni e senza pace, tra il fango e la polvere, nella buona come nell'avversa ventura, Tu fosti sempre fra noi, sempre con noi. Avevi rifiutata la licenza una prima volta, stavi per rifiutare la seconda, ma il destino volle diversamente. Era scritto, stava scritto, che non dovessimo rivederci mai più.
L'ultima notte, quella del distacco ultimo, Tu fosti con me, con noi, in questa stanzetta. Assorto nei tuoi pensieri, l'occhio fissava inquieto cose che furono, che sarebbero state. La vita di ieri, quella del domani; un passato e un avvenire...
"Bruno, non vado via volentieri - dicesti - Vorrei che questo momento non fosse mai giunto. Quando voi tornerete io sarò lontano".
Povero Gigi! Dovevo rivederti al mattino tra lo scoppiettare di una barca a motore, sul lago calmo, mentre il sole usciva trionfante al di là del Nilo. Pallido, triste, andavi ignaro incontro al tuo destino. Un bacio, un abbraccio, una lacrima, la prima e l'ultima e addio...addio per sempre!
Sul lago, immenso, nell'onda spumeggiante, una mano, abbronzata e nervosa, appare e scompare. La Tua...nell'ultimo saluto!



Bruno Minucci