Il Telegrafo del 11 aprile 1941
Ricordando le nostre donne

Zona X, marzo
Non vi è nulla di più bello di una partenza tanto desiata, infinitamente sospirata ed infine realizzata in una bella serata di questa nostra guerriera primavera.
Ricordare qui, con disadorne parole, il momento del distacco dai nostri cari; rievocare le ore belle del bellissimo inizio dell'avventura più grande di nostra vita, sarebbe vano. Tutti coloro che scorrono queste righe, hanno vissuto quelle ore: e le hanno vissute da protagonisti. Legionari e popolo. Uomini e donne. Soldati e civili.
Ma le donne, le nostre donne particolarmente, più e meglio di tutti han sentita la grandezza del momento. Bravi, grandi, generose, le donne di nostra terra! Quelle donne che son madri e vedovi di Caduti; genitrici, spose, sorelle e fidanzate di combattenti, hanno, colla loro grazia, colla loro gentilezza, col sorriso amerevole delle loro labbra, rallegrato l'istante - sempre bello quanto triste - della partenza e dell'addio alle case e alle creature amate.
Ricordarle, ricordarle e ringraziarle tutte, non possiamo. Possiamo soltanto ripetere a loro, alle gentili esponenti del nostro ardimento, alle incitatrici dei legionari, le frasi che uno di noi disse partendo: possiamo soltanto ridire le parole dette da un "assaltatore" a quella, che per il suo passato patriottico, è detta la "squadrista": "Il garofano che ci avete donato unitamente al vostro abbraccio, l'ho chiuso in mezzo ad un'immagine sacra, dono della mamma ed alla fotografia di Dino Raus simbolo della mia fede, esempio per il mio domani; in esse, in quel fiore porpureo e, insieme al vostro ed al cuore di tutte le donne d'Italia, il simbolo della mia volontà. Di quella volontà che mi consentirà, e consentirà ai miei camerati, di tutto osare per la Vittoria immancabile".
Forse, nel commovente momento della partenza, le parole del legionario non furono precisamente quelle che abbiamo scritte. Comunque, l'animo di uno - espressione della massa - voleva e volle dir quello, anche se il discorso non fu troppo chiaro.
Resta però il fatto indiscutibile che, alla loro partenza, gli "assaltatori" sentirono pulsare il cuore e riconobbero il volto della Patria in quello delle donne che, predestinate al dolore, seppero e vollero più e meglio di tutti incitare i partenti al compimento del loro dovere.
E chiudiamo la prima parte di questa nostra affrettata corrispondenza coll'inviare alle donne nostre il saluto di tutti i componenti l'unità legionaria e col ripetere a loro - alle gentili creature - la riconoscenza di tutti i militi dalle nere fiamme per la manifestazione di affetto che esse, in uno slancio di patriottismo puro e di amore sincero, vollero prorompente a dire l'addio ai partenti.

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Su e giù per monti e valli, i convogli dei carichi di fede e di ardimento hanno portato i legionari alle destinazione loro.
Canti guerrieri e canzoni nostrane, echeggianti per ore ed ore tra i colli e sui piani di tante belle contrade d'Italia; sventolar di fiamme ed ondeggiare di ardite nappe di neri copricapi al vento di vittoria che spira ovunque è la Patria; entusiasmo sulle tradotte e gioia e manifestazione di contento, che sta a dire la forza guerriera; questo, in sintesi, il nostro viaggio. Il viaggio che ha portato al luogo da mesi sospirato, il viaggio che si è concluso felicemente e con il tangibile resultato di aver aumentato nei cuori e negli animi la volontà di ardire.
Tratteggiare, sia pure in maniera succinta, gli episodi a cui il viaggio ha dato vita, sarebbe impossibile: dire del comportamento di questo o di quello, non è nelle e per le nostre forze. Diremo solo che il comportamento in genere è stato quello di sempre e che gli episodi son tornati a tutto onore di chi li aveva motivati.
Ragioni particolari, che il lettore - in virtù dell'odierno imperativo: "tacere" - ben comprenderà, co costringono a non dilungarci troppo in questo nostro primo scritto da una zona tanto lontana. Ed anche altre ragioni, di carattere puramente personale (scriviamo, stanchi quanto contenti, dopo tre giornate di utile lavoro, al lume di candela e seduti non su di una poltrona di velluto, rubando una delle poche ore al nostro riposo) fan si che la prima pagina di questo nostro terzo diario guerriero sia purtroppo breve.

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L'unità nostrana è in linea; gli "assaltatori", memori dell'insegna che onora la loro fiamma son pronti a gridare l' "A noi!" di tutte le Vittorie. Fermi, al posto del dovere volontariamente impostisi, i legionari guardano lontano e verso le mete che raggiungeranno, verso la vittoria che si libra ad ali spiegati sui cieli dell'amarissimo mare; Vittoria che sarà nostra, sarà italiana, sarà un pò anche dei figli di una tanto a noi cara città.
Memori del giuramento prestato, stretti intorno alla "fiamma" che ricorda la terra, la casa, gli affetti lontani, gli "assaltatori" si accingono a tuto osare per il trionfo dell'Idea Fascista.
L'Italia, questa nostra Grande Madre, la Fede, questa passione dei nostri cuori, dicono a tutte le mamme e a tutte le innamorate - spose, fidanzate, amanti - che oggi noi, i legionari, i volontari dell'assalto e, se necessario, della morte, non siamo più loro: siamo figli della Patria, gli sposi dell'audacia, i fidanzati della battaglia, gli amanti della morte.
Ci perdonino le nostre donne e preghino Iddio per noi. Noi preghiamo l'Italia di farci, ad ogni costo, degni della sua grandezza.

Dino Corsi