Il Telegrafo del 26 agosto 1941
Alcuni particolari sulla gloriosa morte del caposquadra R. Nigi

Giorni addietro abbiamo reso noto la gloriosa morte incontrata dal nostro concittadino Caposquadra Rodolfo Nigi del 97.o Battaglione CC.NN. d'Assalto, in seguito a ferite riportate in combattimento, morte che, concludendo una giovane e fervida esistenza dedicata attraverso continue e tangibili espressioni di fede alla più ardente devozione verso la Patria, ha destato nell'animo della cittadinanza sincero e profondo compianto.
Pubblichiamo oggi alcuni passi di una lettera inviata da un commilitone del valoroso scomparso ai propri familiari, lettera nella quale sono narrati i particolari del fatto d'armi in cui i militi del 97.o Battaglione senese, con indomito coraggio, hanno superbamente riconfermato lo spirito ardimentoso e le qualità combattive del soldato italiano, che eroicamente sa morire sul campo con la stessa serenità con cui il suo labbro sa cantare le popolari canzoni di guerra.

"...io, fino al momento di sospendere il fuoco - narra il militare nei riguardi del caduto - non sapevo ancora nulla. Lo seppi pochi istanti prima di giungere al luogo ove era stato trasportato. Povero Nigi! Lo vidi col volto insanguinato, con i suoi occhi buoni nei quali riluceva tutto l'orgoglio del dovere compiuto.
Mi riconobbe subito. Mi chiamò con voce calma, strana. Mi chiese un bacio e me lo restituì; poi prese la mia destra nella sua e tenendola ben stretta mi fece promettere che avrei portato quel bacio alla sua cara figlioletta ed alla sua moglie adorata, ed avrei detto loro che moriva per il Duce, col suo nome sulle labbra.
"Uno squarcio immenso all'addome lo faceva soffrire molto e nei momenti in cui lo spasimo era maggiore chiamava la sua cara mamma, con accenti che laceravano la mia anima. Poi riprendeva a parlare, piano piano, ma con eccezionale lucidità. Mi ricordava la promessa fatta, mi raccomandava di salutare i suoi genitori per lui, che stava per morire, che perdonava a tutti e di tutti voleva il perdono, lui che era sempre stato buono. Più tardi fu trasportato all'Ospedale, ove poi l'ho riveduto cadavere...!


Nel suo verismo atroce, questa lettera, della quale noi abbiamo voluto riportare i passi più significativi e più umani, ci documenta di quelle che sono le virtù dei nostri combattenti e come essi, pur nell'estremo anelito fondano in un unico palpito d'amore la Patria e la famiglia.
Non è senza emozione che, apprendendo le parole pronunciate dal caduto negli ultimi istanti di vita, noi pensiamo ai suoi congiunti; a quella figlioletta cara, a quella moglie adorata, e a quei vecchi genitori che non lo rivedranno più, e pensando ad essi, al loro tremendo dolore, noi vediamo tante altre mamme, tante altre spose, tanti altri teneri figli privati ciascuno del bene più grande, e vorremmo a tutti esprimere quanto grande e profonda sia la partecipazione del popolo al loro dolore a cui soltanto la purezza di vedere il sacrificio illuminato dalla luce dell'eroismo e circondato dalla riconoscenza della Patria in nome della quale è stato compiuto, potrà offrire un raggio di conforto.